Il silenzio stampa dei calciatori del Genoa al termine della gara con il Bologna non si è capito. Sarebbe stato bello trovare, capire, andare a fondo non solo sul sollievo del gol arrivato all’ultimo secondo ma anche sul pensiero di un Ferraris nudo dei suoi colori, e alla fine pure della voce dei protagonisti. Non sarebbero stati soltanto episodi di interesse per i mass media.

Invece il calcio e i calciatori sono lanciati in una messaggistica da “mordi e fuggi” sui social, ma non hanno capito che non è una comunicazione globale in grado di diventare l’altoparlante dello sport più popolare. Questo perchè va considerato che è vissuto non molto da coloro che viaggiano tra gli “enti e enta”, ma da molti “anta” e più. Twitter e gli altri social stanno sconvolgendo un mondo sempre più blindato come quello del pallone, dove è più facile intervistare un Premio Nobel che una stellina del football.

Ieri sera, manco a farlo apposta, è andato in scena l’ennesimo capitolo di un’informazione calcistica che latita senza prospettive. Quando ai microfoni della Rai si sono presentati calciatori e dirigenti, rompendo così un silenzio stampa che durava da Madrid, la soluzione è stata quella di parlare soltanto degli episodi arbitrali senza alcun contraddittorio con lo studio. Un po’ come inibire alla parte juventina connessa da casa – e per esteso a tutti gli utenti del tubo catodico che avevano preferito la Coppa Italia ad altri programmi televisivi – di sentire la controparte. Non è una mera questione di giusto o sbagliato, di rigore sì o rigore no: di mezzo c’è un canone pagato annualmente e chi lo paga ha diritto a contraddittorio e opinioni divergenti. È propedeutico a crearsene una propria!

Ritornando al mondo dei social, lo stesso dove si scatenano commenti dopo ogni singola partita, si dica che – per fortuna – in Italia ancora non siamo come in Inghilterra dove attraverso i social i calciatori sfidano i club o criticano i colleghi. La strada tuttavia appare in discesa considerando che si twitta come usignoli. In Inghilterra i club hanno messo il bavaglio alla comunicazione tramite social: la punizione è di 1000 sterline.

Il calcio italiano non deve fare il vigile o punire qualcuno ma deve mettere dei paletti tra il pallone e la comunicazione moderna a tutto campo. Difendersi solo a colpi di divieti proibendo l’uso dell’IPad in panchina o punire l’allenatore squalificato con il telefono non serve: è una battaglia di retroguardia che il calcio ha già perso.

Comunicare è piuttosto una forma di libertà e le società di calcio dovrebbero aver capito che basterebbero solo delle piccole interviste ai protagonisti, non solo calciatori o allenatori, per riempiere le pagine di giornale di notizie che esulino dal gossip e lascino da parte le false notizie.

Il calcio non creerà nuovi soggetti per raccontarlo, perché non assorbirà i giovani che vengono gabbati. Basta seguire le conferenze stampa: nessuna domanda nasce da coloro che sono con la testa sul pc per dare prima la notizia.

Bisogna dire ai giovani che il mercato giornalistico non c’è più, neanche per coloro che si offrono gratis, orrore e gioia per gli editori.

Bello era il mestiere del cronista, affascinante quasi da studiare: ormai ci si trova a parlare di un hobby virtuale e domenicale dal momento che le prestazioni pagate con 10 euro lordi per un articolo non sono un mestiere ma sono da ritenersi uno sfruttamento.

Non è uno sfogo – sono vecchio – ma nel silenzio si sta consumando oltre la chiusura o accorpamento di varie testate giornalistiche anche un delitto contro gli indifesi, i senza voce delle partite IVA che tra dieci anni non potranno più chiedere soldi alla famiglia.

C’è bisogno del calcio da insegnare e devono pensarci FIGC, Lega, Società di Calcio professionistiche permettendo con il lavoro ai più bravi di emergere, non a fare interviste collettive da copia incolla, insegnando anche la tecnica, la tattica del gioco del calcio con degli stage sugli argomenti per guardare le gare con spirito critico, il tutto per saper dare valutazioni Serie sull’andamento della gara e non sul gossip avvenuto sul prato verde come accadutodomenica scorsa sul caso Pandev : la prima domanda fatta a Mandorlini, anche a livello televisivo nazionale, ci stava dopo aver esaminato la gara.

L’alfabeto del calcio attualmente ha una sola lettera, la “c”: crisi è uguale a calcio. Bisogna trovare una soluzione per migliorarlo e per farlo bisogna chiedere ai direttori delle testate giornalistiche, bravi con le parole, di far seguire alla “c” la lettera “f” di fatti, insegnando la professione e non facendo riempire i giornali, non solo sportivi, di collaboratori che neppure conoscono l’abc del cronista e dell’informazione. 

Dopo tanti anni di questo sistema, considerando che in molti sono vicini alla pensione, continuare a chiudere la porta non farà perdere privilegi e qualche rimborso spesa alla giornata, oggi dimezzato.

Tutto ciò non potrà avvenire tramite i social o i copia incolla ma insegnando il mestiere di cronista ai giovani che lo meritano e vogliono impararlo.

Questo silenzio stampa è più dirompente di altri.