Bisognerà chiedersi come mai il meccanismo della tessera del tifoso sia fallito, quasi ovunque e senza riserve, e sia tornato come fulmine a ciel sereno all’onore delle cronache. Perché fare uscire la tanto discussa tessera dalla porta secondaria per farla rientrare, seppur in termini diversi, da quella principale non è un’operazione di poco conto. Nel 2009 la prima idea fu del ministro Maroni, poi gli sviluppi nel triennio successivo portarono alla creazione di una vera e propria fidelity card che, in alcuni casi, poteva garantire qualche vantaggio al tifoso che la sottoscriveva. Poi, di fatto, più nulla fino a venerdì scorso.

Non si parlerà più di tessera del tifoso, ma di carta di fidelizzazione quale esclusivo strumento di marketing delle società – ha spiegato a margine dell’intervento al Ministero dell’Interno Daniela Stradiotto, Capo dell’Osservatorio sulle manifestazioni sportive, specificando che “qualora l’Osservatorio ritenga di dare massimo rischio a una partita, la società stessa può chiedere di fare accedere solamente i tifosi fidelizzati”.

La tessera del tifoso ha nel destino di perdere la sua doppia valenza di riconoscimento dentro e fuori dalle strutture sportive, e non è aspetto da sottovalutare visto che la conseguenza principale sarà quella di delegare la maggiore operazione di controllo alle società sportive. Dopo aver regolamentato e tracciato il flusso allo stadio di più di 800mila italiani ci si deve essere resi conto che i vantaggi che ne hanno tratto le società e l’affluenza agli stadi non sono stati sufficienti e che un mutamento da tessera a carta di fidelizzazione con impatto sul marketing societario – e sulle casse di una società – sarebbe stato doppiamente utile. Cosa partorirà tale presa di coscienza, non è dato saperlo. Quello che fa ben sperare è che di violenza negli stadi si è parlato, ma solo a margine. Il controllo ci sarà sempre, come spiegato dall’Osservatorio, e le valutazioni sul rischio delle singole partite resteranno invariate. Diciamo però che l’input generale che ha portato alla sottoscrizione di questo protocollo d’intesa ha puntato piuttosto su altri temi, ponendosi altri obiettivi e immaginandosi altri scenari futuri.

Di comune accordo tra Ministero dell’Interno, Ministero dello Sport, Osservatorio, CONI e Capo della Polizia, si rivedranno i meccanismi portando entro 3 anni all’abolizione della tessera del tifoso e dando più responsabilità alle società nell’intrattenere rapporti col pubblico, creando un codice etico interno affinché ogni singolo tifoso vi si attenga. Un po’ come dire che gli otto anni di tessera del tifoso sono stati una stampella fornita direttamente da Roma e che adesso si può andare avanti da soli e trovare il percorso più efficiente e valido per continuare a incentivare le persone ad andare allo stadio.

Scetticismo a parte, sembra poco sensato doversi attendere risultati nell’immediato: al massimo quelli arriveranno nel medio-lungo periodo. Sicuramente la notizia della riapertura dei botteghini fuori dagli stadi, con la vendita libera dei biglietti sino a pochi istanti dal fischio d’inizio, fa ben sperare, con la possibilità di estendere queste vendite dell’ultimo minuto anche in occasione delle partite in trasferta etichettate come a “rischio 1”, ovvero il livello minimo di rischio quando vi sono consistenti spostamenti di persone.

Rigurgito di un calcio che non c’era più, la scelta di passare le domeniche pomeriggio con la famiglia allo stadio, decidendolo magari all’ultimo dopo un pranzo e davanti a una pasta al pesto, riporta alla mente le dinamiche delle famiglie di tanti, tanti anni fa. Per chi poi tifi Genoa, l’aria della domenica al “Ferraris” è sempre stata un po’ diversa, quasi esclusiva e appagante, anche quando si fosse deciso all’ultimo minuto di vedere la partita.

Il percorso intrapreso dovrebbe portare anche all’abolizione delle restrizioni sull’accesso nelle strutture sportive di strumenti di diffusione sonora. Perché avessero eliminato i tamburi dalle gradinate era apparso strano a molti, ma ritrovarsi in una Nord tambureggiante potrebbe essere ancora più coinvolgente di quanto non lo sia stato senza. Il calcio ritroverà in qualche maniera pure la musica, il ritmo, il vissuto incalzante delle partite di pallone.

Si tratta di un primo passo verso la liberalizzazione completa dell’accesso agli stadi – ha spiegato Carlo Tavecchio, presidente della Lega – sempre che ci meritiamo questo passaggio. Oggi è un esperimento, lo apriamo e speriamo di ottenere i risultati che ci aspettiamo”. Risultati che senza un ammodernamento delle strutture rischiano di non concretizzarsi del tutto, particolare su cui Giovanni Malagò, presidente del CONI, ha calcato molto la mano, venerdì scorso come nei mesi precedenti.

Si tratterà insomma di una serie di processi a incastro che verranno messi alla prova e la gestazione, prima di trarre conclusioni definitive, sarà di tre anni. Tre anni durante i quali il controllo negli stadi non sparirà: rimarrà – a discrezione dell’Osservatorio – la scelta delle partite a rischio e non è escluso che per queste partite vengano predisposte restrizioni, anche su richiesta diretta delle società. A voler mettere le mani avanti, proprio questo passaggio potrebbe finire per creare le maggiori polemiche, specialmente se le partite soggette a limitazioni dovessero aumentare anziché diminuire: la speranza è che una volta riconsegnati gli stadi alle regole di un tempo, almeno a quelle precedenti al 2009, le restrizioni diventino eventi eccezionali e l’accesso finisca per essere garantito a tutti in occasione degli eventi sportivi. Ma questa è un’altra storia…