La querelle sulla cessione da parte del Comune di Genova dello stadio “Ferraris” apre un nugolo di tematiche, da quella sulla reale valutazione della struttura, che coinciderà con quanto l’amministrazione incasserà dalla vendita del manufatto – perché di questo si sta parlando, per storia e tradizione cittadina – a quella sull’opportunità o necessità di un intervento piuttosto che un altro. L’unica cosa sufficientemente chiara che si è appresa negli ultimi giorni, in un andirivieni mediatico che poco ha chiarito le idee, è che le due società genovesi di qui a fine campionato lavoreranno, presumibilmente a braccetto, per trovare la chiave giusta per l’acquisto mediante gara pubblica dello stadio Ferraris.

Si dovrà valutare per conto del Comune la valutazione da fare dello stadio, una valutazione periziale su quanto manifesta evidenti carenze (teleschermi, bagni pubblici, terreno di gioco) e quanto invece possa incentivare un manufatto come il “Ferraris”. In tutto questo circolo di valutazioni non bisognerà però privarlo del bagaglio storico che porta con sé. In altre parole, una valutazione non facile tra ciò che evidentemente va rivisto e la storia, che tra ricorsi storici e reminiscenze spesso passa in secondo piano.

Uno stadio sul quale si è intervenuti con cadenza ciclica negli anni, dal Mondiale di Italia ’90 in poi, per concorrere alla messa a norma senza dover aggirare il problema con deroghe settimanale da parte dell’assessorato allo Sport di Palazzo Tursi. Oggi, per l’appunto, abbiamo incontrato in esclusiva Giorgio Guerello, membro del Consiglio di Reggenza della Fondazione Genoa e già, durante gli ultimi cinque cicli amministrativi, assessore allo Sport. “Ad un certo punto – come ci ha raccontato – mi sono trovato a gestire sino  104 impianti cittadini”. Tra questi, evidentemente, un manufatto come lo stadio “Luigi Ferraris”.

Cosa è stato fatto realmente sul “Ferraris” dal grande “stravolgimento” di Italia ’90 in poi?

Sostanzialmente dopo i Mondiali abbiamo avuto un manufatto ristrutturato, peraltro mantenendo le partite perché si ristrutturava pezzo per pezzo. Un manufatto che però non aveva l’agibilità definitiva, motivo per cui per potersi disputare le partite, di volta in volta, l’assessore allo sport proponeva al sindaco un’agibilità provvisoria adottata settimanalmente. Una deroga che permettesse lo svolgersi della partita.

Questo fenomeno è durato anni con diverse complicazioni perché negli anni si sono succedute una serie di normative di sicurezza ministeriali, governative, cui ci si doveva adeguare: nel senso che si correva, tapuli su tapulli, sul filo della provvisorietà. Ci sono state poi tragedie, come quella di Spagnolo, nel 1995, o in altre città, come quella di Raciti: ci sono stati dunque di lì in avanti problemi di movimentazione di tifosi. In questa situazione, all’inizio degli anni Duemila, nella giunta Pericu, ci eravamo dati come obiettivo di ottenere l’agibilità definitiva dello stadio ottenuta nel 2006, quando abbiamo potuto vantare uno stadio a norma. Per arrivare a questo risultato abbiamo avuto la collaborazione di Genoa e Sampdoria, anche sacrificando parte delle possibilità di fare entrare spettatori o mettere a disposizione aree. Inoltre la collaborazione di Questura, Prefettura, comitati di vigilanza, Vigili del Fuoco. Inoltre abbiamo deciso di investire cifre significative pur in un bilancio che aveva svariate esigenze: abbiamo ritenuto fosse importante.

Si dovette rinviare un derby estivo (agosto 2002, ndr) a causa di lavori in via Casata Centurione per la portata di un rio che era esondato (nella recente alluvione, ndr). Questo fatto permetteva le partite ordinarie ma sacrificando posti nella Sud: essendo intervenuto un derby, non potendo ridurre la capienza della gradinata per motivi di ordine pubblico, rimandammo il derby. Questo per dire che avevamo cantieri su cantieri, anche di natura diversa da quella connessa direttamente allo stadio.

Poi c’erano da reperire soluzioni per le vie di fuga, in particolare sulla copertura del Bisagno. Ai tempi di Italia ’90 vi era ancora la tensostruttura, si era cominciato a pensare a vie di fuga sulla copertura. Su questa zona si sono innestate le vie di entrata per i tifosi, che via via si sono succedute in fasi diverse a partire dal 2002: serpentine, tornelli, aree di pre-filtraggio, zone per furgoni delle televisioni o aree dove potessero entrare pullman della squadre avversarie per far scendere i tifosi e canalizzarli in sicurezza verso il settore ospiti. Settore ospiti che, peraltro, abbiamo dovuto creare a fianco della tribuna e, in occasioni speciali, anche nella zona superiore di quest’ultima.

Ci sono stati anche abbellimenti volontari, come l’area destinata all’accoglienza. La zona dove oggi vengono fatti ricevimenti o zone dove mangiare negli intervalli delle partite. Questo non era previsto all’epoca dei Mondiali del 1990. Quando le formazioni genovesi hanno affrontato l’Europa, la UEFA ha fatto richieste molto rigide: seggiolini, strutture, zone giornalisti ben più ampie di quanto si potesse pensare. Si sono dunque accavallate negli anni opportunità e necessità, sempre con spese significativi da parte del Comune e capacità di selezione delle ditte per bandi pubblici fatti entro i limiti di legge ma a spron battuto. In linea con le esigenze dei tempi del campionato delle formazioni genovesi.

Vi sono state anche complessità diverse, come rizollare il campo con interventi specifici. Come sta accadendo anche in questi giorni. In un’occasione mi sono trovato addirittura a destinare (nel 2004, ndr) somme messe a bilancio per interventi sui seggiolini per un investimento immediato sul manto erboso. Naturalmente, essendo lo stadio utilizzato da entrambe le squadre, è stata utile una mediazione.

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La sensazione, oggi, è che la difficoltà sia l’interpretazione di queste norme, che si traducono in forme diverse da campionato a campionato. Sono ovunque diverse e, alla fine, “pagano” i tifosi

Le norme si sono spesso accavallate sulle emergenze che nascevano: e questo evidentemente ha creato di riflesso anche una confusione normativa. Fondamentali in tal senso sono state le commissioni di vigilanza. E non meno importanti i Vigili del Fuoco per decidere quali interventi fare e quando farli. Non potendo interrompere i campionati – più Coppe nazionali o internazionali – avevi una scelta di priorità e di calendario d’interventi. Anche questo fatto di una norma concatenata ad un’altra, ha fatto sì che si creassero norme sovraordinate e più urgenti. Sembrano banalità, ma la calendarizzazione delle priorità è un fatto complicato che deve essere condiviso da soggetti pubblici e privati, da enti diversi. Tutto questo si è realizzato negli anni attraverso buonsenso ma anche con innumerevoli riunioni. Anche la riduzione dei posti al Ferraris, ad esempio, ha imposto di prendere una lunga serie di decisioni dato che a dover mettere per forza seggiolini riduci i posti. E devi chiederti quanti ridurne, fino a che soglia metterli, di che ampiezza, con o senza schienale, con o senza seduta. Il tutto è stato fatto con bandi e decisioni pubbliche.

Nel prossimo futuro i bandi pubblici serviranno anche per un Ferraris in odore di vendita. La sua idea? 

A mio giudizio, venendo all’attulità, il manufatto Ferraris deve essere periziato col valore attuale e deve essere stimato l’ammontare degli interventi necessari che hanno realmente un valore. Questo permetterebbe di avere un bando con una chiave di lettura, che dica dove si deve andare a parare. E poi deve essere un bando aperto a tutti. L’auspicio è che gli interventi svolti possano essere un’assunzione di responsabilità da parte di entrambe le squadre, ma poi il bando dovrà prevedere se debbano gareggiare separatamente. Anche il bando andrà fatto con “grano salis”.

Se ci sono state perizie nei cicli amministrativi precedenti sul “Ferraris”? Si può dire che a un certo punto si era creata “SportinGenova”, società partecipata a cui erano stati direttamente conferiti alcuni manufatti che reggevano il capitale sociale. E che il manufatto principale era lo stadio Ferraris (ma ne facevano parte anche polisportiva Sciorba, stadio Carlini, Lago Figoi, Villa Gentile) la cui perizia di valutazione era di essere un bene assolutamente vitale per la vita della società. Liquidata SportinGenova (nel marzo 2014) è stato creato un consorzio (Consorzio Stadium) che ha gestito lo stadio e di cui facevano parte anche Genoa e Sampdoria. Oggi c’è una volontà diversa: ma quel consorzio aveva l’idea di creare lo stadio come luogo diverso dai soli eventi.

E’ quantificabile il costo che il Comune ha sostenuto negli anni, dal 1990? E soprattutto:  poniamo che Genoa e Sampdoria acquistino lo stadio. Laddove, come già si è ventilato, dovessero essere messe al corrente dell’ammontare degli interventi che andranno fatti dopo l’acquisto non è che c’è il rischio di una svalutazione di quello che è il reale valore storico ed edile del Luigi Ferraris?

L’ente pubblico ha bisogno di avere un dato certo, quello peritale. Le società faranno le loro valutazioni su quali interventi svolgere. Faccio per dire: potrebbero decidere di fare i palchetti come nello stadio della Juventus. Si tratterebbe di investimenti volontari, di opportunità. Poi ci sono gli interventi necessari, come l’erba oppure i servizi igienici a norma. Interventi che permettono di giocare, tra i quali anche quello (nel 2006, ndr) che chiuse un po’ il periodo di interventi per la messa a norma, ovvero sia la creazione del Gruppo Operativo Sicurezza (GOS)”, appostato in una delle torri dello stadio Ferraris. In qualche modo è stato l’ultimo passaggio pratico, burocratico del percorso di messa a norma della struttura. Nel periodo 2002/2006 sono stati investiti milioni di euro: scelta importante anche per la città. A torto o a ragione, la valutazione di una città la si vede anche attraverso gli occhi dello sport, presenti nella giornata degli italiani. E anche solo il rinvio di una partita dà un danno d’immagine alla città”. 

Si ricordi che nel 2004 Genova fu nominata Capitale Europea della Cultura. Un premio che in qualche modo portò anche a misure “spot”, inquadrate come interventi che assicurassero lo svolgimento delle gare. Si pensi al muro di cemento eretto – e poi abbattuto – per misure di sicurezza nell’ottobre 2003 al fine di permettere la disputa di un Sampdoria-Milan (23 ottobre) oppure all’apertura dell’intera curva Sud ai tifosi della Fiorentina nel 2004, partita coincisa col lancio in campo dei servizi igienici da parte della tifoseria ospite, uscita sconfitta.

Si può dire allora che la cifra circolata in questi giorni forse non è proprio in linea con quanto speso allora?

Sia Comune che società devono intanto individuare gli interventi necessari, facilmente valutabili con una perizia. Altre cose sono voluttuarie, ma andrebbero fatte su uno stadio situato nel centro città. Uno stadio dove si vede bene la partita, dove la voce dei tifosi è subito percepita dai calciatori. La parte igienica, sotto gli occhi di tutti, è la prima voce da mettere a posto. Anche i locali sotterranei si potrebbero valorizzare: sarebbe ad esempio opportuno avere tre spogliatoi, non due. Specialmente in un mondo del calcio dove le telecamere – o le stesse società – organizzano tour interni allo stadio. Ci sono proposte, anche di anni fa, e sono tutte interessanti. Anche quelle dell’avvocato Burlando interno alla Fondazione Genoa.