Perinetti racconta Perinetti, una rubrica un po’ particolare. La prima domanda è d’obbligo: la Roma è tornata in semifinale, lei l’ha vissuta direttamente con quel gol di Pruzzo al Liverpool.

“Sono romano, nato e cresciuto per 16 anni nella Roma, realtà dove sono poi tornato per altri tre anni. Ha segnato tanto nella mia carriera, è stato un passaggio fondamentale per la mia crescita. La partita contro il Barcellona è stata sicuramente un momento emozionante per la partecipazione del pubblico, per l’eccezionale prestazione della squadra. Sono serate eccezionali, occasioni che fanno capire come il calcio italiano sia vivo. Bisogna solamente aver la voglia di costruire, lavorare, per ottenere poi risultati importanti. Si tratta di un momento magico per tutti questi motivi, per me in particolare: mi riporta indietro nel tempo, ad un giovanissimo Perinetti che ha vissuto la finale di Coppa dei Campioni persa a Roma per l’errore di un ex genoano come Conti e la rete di Pruzzo, che pareggiò in una finale sfortunata. La Roma può tornare a quei fasti, vedremo quale sarà il sorteggio ma la prestazione dell’Olimpico è incoraggiante. La Roma può puntare alla finale di Kiev, che sarebbe traguardo importante”.

Perinetti cosa ha fatto fino a 22 anni?

“Ho capito di non poter giocare a calcio, è stata una mossa strategica, quindi mi sono dedicato a seguire i giovani all’aria aperta da studente universitario. Osservavo squadre legate a CSI, UISP ed altro, i ragazzi dell’oratorio che batterono 4-1 la Roma in semifinale in un torneo organizzato con la Federazione. Quell’incontro fu determinante, poiché i dirigenti della Roma si accorsero di un ragazzo appassionato di calcio. Con loro ho cominciato a lavorare con il settore giovanile, fui chiamato per collaborare e da lì ho fatto tutto il percorso fino alla prima squadra. Nella famosa serata della finale contro il Liverpool in panchina c’era Liedholm, prossimo a tornare al Milan, ed io ero in tribuna proprio con l’uomo che avevo suggerito per il dopo: Sven Goran Eriksson. Un altro allenatore svedese, che in Italia ha avuto delle esperienze positive”.

Napoli è stata un’avventura particolare. Erano gli anni di Maradona

“Aveva già vinto uno scudetto, motivo per cui è stata un’esperienza esaltante per vari motivi: per il valore della squadra, per aver vissuto da vicino Careca, Giordano, Carnevale, Bagni e aver dovuto gestire il dopo Maradona. Avere anche scoperto giocatori come Fabio Cannavaro, acquistato per 15 milioni di lire e vincitore di un Pallone d’Oro, così come aver lanciato Gianfranco Zola ed aver gestito un giovanissimo Ranieri in panchina sono soddisfszioni importanti.

L’esperienza al Napoli mi ha fatto vivere una realtà che è molto simile a quella del Genoa: queste due tifoserie sono le più pure, dirette, entusiaste. Anche quella romana ovviamente ha qualcosa di importante, ma in Genoa e Napoli vedo qualcosa di molto più simile. Mi piace il modo di intendere il calcio, calcio per il calcio, che si ha qui”.

Wikipedia sostiene sia stato lei il primo ad informare Maradona del fatto che avesse qualche problema con l’antidoping.

“L’ho vissuto, lo ricordo. Soprattutto la smorfia di dolore che si percepiva in Diego, nel momento in cui cominciava a capire che il suo impero aveva subito un colpo decisivo. La smorfia di stupore, rammarico, tutto un misto di emozioni, me la ricorderò per sempre”.

A Napoli lei si dimise quando venne chiamato Ottavio Bianchi, al posto di Ranieri, per volere di Ferlaino

“Ho sempre pensato che non si possa lavorare senza il pieno appoggio fra tutte le componenti, per cui quando non c’è condivisione è meglio fermarsi. Mi sono dimesso due volte alla Roma con i Sensi, una volta con Giraudo alla Juventus e proprio con Ferlaino a Napoli”.

Poi arriva Palermo, un’altra avventura in cui ha ottenuto promozioni e dalla quale sono usciti giocatori importanti

“Palermo è stata un’avventura a tutti gli effetti, perché non mi capacitavo di come una piazza così importante non fosse calcisticamente nelle serie superiori – serie che le competevano – e volevo capirne il motivo. Abbiamo subito vinto un campionato, lì ho anche trovato moglie e figli ed ogni 10 anni mi ci ritrovavo, motivo per cui la considero una tappa fondamentale. Quello di promozioni e salvezze è stato il leitmotiv della mia vita, perché abbiamo sempre ottenuto dei risultati, ma questo è legato alla chiarezza nell’interpretare il mio ruolo e condividere con le varie proprietà i programmi, per portare con coerenza il miglior risultato possibile. Insomma, cercare di trarre il massimo dal valore umano della proprietà e valorizzare le potenzialità di tutti gli allenatori chiamati in panchina. Questo cliché, non una formula magica, ha dimostrato nella mia carriera di essere stato positivo”.

Moggi si batté con Agnelli per farla andare a Torino

“Dopo esser tornato a Roma sono stato alla Juventus, la squadra che oggi è la più forte rispetto alle altre, quella che vince di più, la meglio organizzata: mi piaceva l’idea di vivere da dentro quell’ambiente, oltre al fatto che conoscevo già tanti amici come Lippi, Ferrara, Di Livio, inzaghi, Peruzzi, tutti avuti in esperienze precedenti. Sono stati anni un po’ particolari, abbiamo avuto Lippi ed Ancelotti – conosciuto come giocatore a Roma e poi venduto proprio da me al Milan – e non ho vissuto bene questa realtà. Non sono stato il miglior Perinetti, ho imparato tanto ma forse non ho dato altrettanto”.

Perinetti ci racconta Moggi, un personaggio che ha segnato il panorama calcistico per tanti anni

“Di Moggi ho detto che, oltre alla competenza, si tratta di un grande stacanovista dedicato continuamente alla società. Lavorava 20 ore al giorno, io stes mi stancavo a seguire il suo passo pur essendo un appassionato di calcio da tempo”.

Dalla Juventus al Siena, sempre con un pizzico di Roma. Qui a dire il vero c’era Mezzaroma: quali i ricordi?

“Ci ero già stato con un mio ex dirigente del Napoli, De Luca, persona squisita. A Siena ho imparato il valore dell’umanità, del contatto con le persone, perché in città si cammina e ci si incontra continuamente. Fare la Serie A con 45.000 abitanti non è semplice. Nella prima esperienza abbiamo fatto 3 salvezze, vivendo la categoria in maniera piena: ci siamo confrontati col Milan di Ronaldo e con la Juve di Capello, poi quando sono stato richiamato ho riportato Conte, quando ormai eravamo in Serie B. Abbiamo raggiunto un’altra salvezza in Serie A, poi lui è andato alla Juventus. Abbiamo fatto il record di punti e il Siena si è trovato persino a disputare una semifinale di Coppa Italia contro il Napoli, persa per due autogol. Se fossimo arrivati in finale avremmo fatto la Coppa Uefa, per un vecchio meccanismo. Sarebbe stato un traguardo davvero incredibile”.

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