Nel copia-incolla che sembra essere nato dopo il 13 marzo scorso, giorno in cui il CIES Football Observatory ha diffuso una statistica relativa agli ultimi cinque anni e al numero di giocatori schierati da ogni squadra, sono cambiati numeri e parole. Si è scritto che i calciatori rossoblu sarebbero stati 137 mentre invece sono 119; si è scritto che la statistica era legata alla vendita dei calciatori, quando invece il riferimento era al numero di giocatori schierati – di cui almeno una decina provenienti dal settore giovanile o scesi in campo una sola volta prima di essere dirottati in prestito (uno su tutti, Linus Hallenius). Noi abbiamo lavorato molto per andare a fondo a questa statistica, iniziando col tradurre quanto scritto dal CIES e ponendoci assieme coi nostri lettori alcune domande.
“La prima pubblicazione del CIES Football Observatory venne pubblicata nel Marzo 2012. Per celebrare questo compleanno, abbiamo fatto una classifica dei 54 club (sempre presenti nei massimi campionati negli ultimi cinque anni) in relazione al numero di giocatori schierati in campo nei massimi campionati. La squadra italiana del Genoa ha usato più calciatori di tutti: 119! Agli antipodi nella graduatoria vi è il Borussia Moenchengladbach (48 giocatori).
Diversi club ben strutturati e performanti (a livello di risultati e obiettivi, ndr) hanno invece schierato il minor numero di calciatori nel periodo analizzato. Tra questi notiamo squadre che partecipano regolarmente alla Champions League come Bayern Monaco (53 giocatori), Barcelona (53), Arsenal (55), Real Madrid (56) e Manchester City (57). L’articolo presenta anche il calciatore di ogni club ad aver giocato più partite nel massimo campionato (con la stessa maglia, ndr) durante gli ultimi cinque anni. Il portiere del Saint-Etienne Stéphane Ruffier si colloca in cima alla graduatoria con 16,650 minuti giocati”.
Forse un po’ lunga quella che avete letto, ma era una doverosa premessa nei confronti dei nostri lettori all’inizio di questo editoriale. Nei giorni scorsi si è letto di 137 o 134 giocatori in orbita Genoa, in un via vai che di parole ne ha strappate molte. In realtà questo numero è diverso.
Il virgolettato soprastante non è altro che la traduzione di quanto riportato dal CIES Football Observatory lunedì scorso in materia di numero di giocatori diversi schierati in campo dall’1 marzo 2012 allo stesso giorno del 2017. Un’analisi tanto utile quanto dettagliata, lunga cinque anni, che ovviamente ha fatto parlare molto in casa Genoa visto che i rossoblu sono in cima a questa classifica. Con 18 giocatori in meno rispetto a chi per primo ha fatto girare la notizia, poi ripresa a destra e a manca.
Noi però ci siamo domandati: ma quali sono stati questi 119 calciatori? E soprattutto: perché i grandi club d’Europa, impegnati spesso fino al limitare dell’estate su tre o quattro fronti diversi, sono quelli a sfruttare il minor numero di calciatori?
I 119 GIOCATORI ROSSOBLU CONSIDERATI DAL “CIES” – Ve la proponiamo così, in maniera schematica, la lista dei 119 giocatori che con ogni probabilità il CIES ha tenuto in considerazione nello stilare la sua personale classifica sul Genoa:
Portieri (9): Frey, Lupatelli, Scarpi, Tzorvas, Donnarumma, Perin, Bizzarri, Lamanna, Ujkani;
Difensori (37): Roger de Carvalho, Granqvist, Kaladze, Bovo, Antonelli, Moretti, Sampirisi, Ferronetti, Krajnc, Manfredini, Cassani, Pisano, Portanova, Antonini, De Maio, Canini, Gamberini, Burdisso, Marchese, Vrsaljko, Marco Motta, De Ceglie, També, Izzo, Roncaglia, Bergdich, Rosi, Ansaldi, Diogo Figueiras, Muñoz, Fiamozzi, Cissokho, Orban, Gentiletti, Biraschi, Brivio, Alhassan;
Centrocampisti (45): Veloso, Rossi, Birsa, Jankovic, Mesto, Belluschi, Constant, Kucka, Biondini, Sturaro, Vargas, Olivera, Rigoni, Matuzalem, Tozser, Nadarevic, Anselmo, Marchiori, Bertolacci, Lodi, Cofie, Fetfatzidis, Centurion, Cabral, Greco, Tino Costa, Edenilson, Santana, Falque, Perotti, Mandragora, Rincon, Mussis, Laxalt, Capel, Ntcham, Lazovic, Rigoni, Stoian, Dzemaili, Tachtsidis, Hiljemark, Taarabt, Morosini, Cataldi;
Attaccanti (28): Pratto, Palacio, Ze Eduardo, Sculli, Gilardino, Caracciolo, Hallenius, Immobile, Borriello, Floro Flores, Said, Calaiò, Konatè, Pinilla, Niang, Lestienne, Pavoletti, Matri, Cerci, Gakpé, Suso, Pandev, Panico, Matavz, Simeone, Palladino, Ninkovic, Pellegri.
COME GIUDICARE QUESTI NUMERI? – Ora, partendo da questa lista, sarà bene chiedersi il perché la formazione rossoblu sia in cima alla graduatoria e a chiuderla siano le squadre più blasonate d’Europa. Che il numero sia frutto di un’impostazione societaria mirata a cambiare – e molto – quando lo ritiene necessario, è fuor di dubbio. Non ci si potrà però fermare soltanto a questo aspetto dal momento che il Genoa, assieme con altre formazioni italiane quali Chievo o Atalanta, anch’esse nella top 10, non può fare affidamento sulla possibilità economica di cui dispongono altre squadre.
Un dato eclatante, proveniente guarda caso dall’Inghilterra e dalla Premier League dei Ranieri’s Dreams, risulta quello secondo cui nell’arco di vent’anni il reddito complessivo del club che, tra i venti scelti dalla Deloitte, si piazza all’ultimo posto, è incrementato a dismisura, come testimonia l’immagine sottostante. Il dato di 172,1 milioni fa riferimento al Leicester, 20° quest’anno. Vent’anni fa si attestava poco sopra i 36 milioni.
Cosa significa questo parallelo tra Genoa e Leicester? In realtà, dal punto di vista dei risultati, ben poco perché in Italia è pressoché impossibile ripetere una cavalcata come quella delle Foxes: sono troppe le voci a mancare all’appello per rendere più competitiva la Serie A, come quei 50/52 milioni di sterline che ogni singola società inglese della Premier, in virtù di un contratto firmato nel 1992, deve ricevere annualmente come spartizione di ricavi centrali derivanti dagli sponsor che incentivano la competizione stessa.
Non andremo più a fondo per non perdere di vista il punto centrale della questione, ma si tenga conto che un buon 70% dei ricavi della Premier League è spartito in maniera estremamente equilibrata. Il restante 30% potrebbe far discutere, ma questa è un’altra storia.
Ad ogni modo, pur essendo un’altra storia, potrebbe benissimo diventare una delle spiegazioni più plausibili al problema del numero di giocatori “fielded” (che significa “schierati in campo” e non “venduti”) che risiede in larga parte nel fatturato e negli introiti delle singole squadre: più sono alti, più permettono di acquistare un minor numero di giocatori con cartellini più alti che ne assicurino la qualità in termini di prestazione sportiva.
Nessuna novità insomma: si pensi alle ultime operazioni da capogiro come quella che ha portato Paul Pogba allo United o quella, anni or sono, che portò Cristiano Ronaldo da Manchester a Madrid. Si parla di cifre incredibili, spendibili solo quando il calciatore ha alle spalle sponsor di fama mondiale, procuratori di fama mondiale e a sua volta l’acquirente dispone di un ricavato – quello che la Deloitte chiama “revenue”, sia reddito – che può permettere tali operazioni.
E attenzione perché potrebbe mancare anche un altro dettaglio, forse quello più importante: i top club europei ricevono spesso sovvenzioni anche da privati, che essi siano soci o enti esterni, come gli sponsor. A livello di soci la statistica non è più stata aggiornata dal 2013, ma i club con più azionisti “popolari” al mondo rimane il Barcellona (223mila circa). A seguire Benfica, Manchester United e Bayern Monaco, che non scendono sotto i 150mila.
A voler ragionare per assurdo, ponendo che ogni socio blaugrana garantisca annualmente 10 euro, un top club come il Barcellona avrebbe un introito extra di circa 2,5 milioni. Se le donazioni fossero da 100 euro, la cifra salirebbe a 22,5 milioni. Se addirittura si facessero follie e si incrementasse a 1000 euro, ecco lì che si avrebbero i soldi per fare una ventina di campagne acquisti: 223 milioni di euro. Neppure paragonabile col Genoa, ma neppure con tante altre società che disputano le coppe europee con sufficiente regolarità.
SPONSOR E MAGLIETTE COSTOSE – Se a tutto questo ragionamento si aggiunge il quadro dei ricavi dagli sponsor – e in questo caso il sito Euromericas Sport Marketing ha fornito nel 2015 una statistica davvero interessante – si scopre che le maglie più “costose” al mondo per via dello sponsor che vi è sopra sono, nell’ordine, quelle di Manchester United (sponsor Chevrolet, contratto da 75,3 milioni di euro l’anno con incrementi tra 12% e 21% in caso di vittorie in campionato o coppa), Barcellona (Qatar Airways e circa da 70,5 milioni di euro l’anno), Liverpool (Standard Chartered, 40.5 milioni), Bayern Monaco (T-Mobile, 39.5 milioni) e Real Madrid (Fly Emirates, 24 milioni l’anno). Difficile a questo punto anche solo tentare di fare un paragone con questi blasoni, e soprattutto appare difficile farlo in Italia, dove soltanto la Juventus negli ultimi anni è in grado di competere con le grandi d’Europa.
In Italia dove, per stessa ammissione anche del Presidente Preziosi prima della gara col Pescara, trovare uno sponsor è diventato quasi un lusso, anche per metà stagione.
Sarà un caso che direttori sportivi e presidenti attivi nel campionato italiano ribadiscano da anni che si vende solo se prima esce qualcuno? Probabilmente anche qui si gioca sul filo della retorica e del conto in banca delle singole società, ma resta pur sempre il fatto che in Serie A, tra ripartizioni dei diritti televisivi che continuano a far discutere e squadre che faticano terribilmente a trovare uno sponsor, grosse somme di denaro in sede di calciomercato non ne vengono spese ormai da anni. Eccezion fatta Juventus, Napoli e Roma, che non a caso risiedono stabilmente nella top 30 dei club con i redditi più alti stilata dalla Deloitte.
GLI INCASSI AL BOTTEGHINO – L’ultimo capitolo da affrontare, utile a ribadire come la media dei tifosi rossoblu in questa stagione sia in trend positivo rispetto alla stagione scorsa, è quello che affronta la tematica dell’affluenza allo stadio e dei biglietti venduti. Anche qui il fronte che si potrebbe aprire è vastissimo ed è sotto gli occhi di tutti che la crisi nel calcio italiano, senza una revisione delle strutture e del merchandising, rischia di restare stanziale e di palesarsi cronica. Mentre qualcosa inizia a smuoversi tra i meandri della burocrazia, per adesso Juventus, Roma, Milan e Inter dominano incontrastate in fatto di ricavi dalle biglietterie: si va dai circa 44 milioni bianconeri a somme che oscillano, per giallorossi e milanesi, tra i 25 e il 29 milioni di euro. E il Napoli? Secondo alcune stime, la sola sfida di Champions League con il Real Madrid avrebbe fruttato ai partenopei una cifra intorno ai 4,5 milioni di euro.
Tanto per fare le debite stime, il Genoa con l’ultimo derby da tutto esaurito ha guadagnato una cifra al di sotto dei 460mila euro. Già questo potrebbe bastare a tracciare uno spartiacque netto all’interno della classifica stilata dal CIES, dove non a caso “trionfano” i club che hanno fatto della rigenerazione stagionale, tra prestiti o acquisti a costi inferiori, il loro modus operandi. Sarà un caso che sette tra le prime dieci squadre siano italiane? Sarà altrettanto casuale che alcune di queste stiano vivendo da diversi anni stagioni anonime non in linea con i loro obiettivi, come Inter, Milan e, se vogliamo, anche Roma?
Probabilmente la risposta è “no” e ne presuppone una seconda: se in Italia qualcosa non cambierà e il calcio nostrano non diverrà più attraente per investitori e tifosi, la situazione rischierà di peggiorare. Ben vengano idee come azionariati popolari o stadi di proprietà: con le dovute proporzioni e un minimo di logica potrebbero far parlare di dati più positivi.
In casa rossoblu regna comunque un clima non troppo positivo, al punto che talvolta si tralasciano le notizie positive, come quella relativa all’aumento dei tifosi allo stadio in una stagione non troppo esaltante, e si manca di andare a fondo sulle cause di certi numeri, di un calciomercato che in Italia ha tutto un altro aspetto rispetto al resto d’Europa. Noi ci abbiamo se non altro provato.
A cura di Lino Marmorato e Redazione