Mentre sul fronte calciomercato tutto tace, così come sul fronte di una possibile vendita societaria, noi abbiamo provato a chiarire qualche passaggio dell’ultimo bilancio rossoblu, approvato due giorni fa al Porto Antico (clicca qui per saperne di più). Lo abbiamo fatto contattando Diego Tarì, esperto in materia e fondatore del noto sito www.tifosobilanciato.it e curatore, per altro, di un’altra piattaforma web intuitiva e utilissima per capire al volo le situazioni di bilancio di molte, moltissime società di calcio in tutto il mondo (www.footyrate.it). Ecco la sua intervista, di cui in fondo alleghiamo come di consueto l’audio:
Come si deve leggere il bilancio del Genoa, anche nell’ottica di metterlo in paragone con quello di altre società di Serie A?
Diciamo che il bilancio del Genoa non è molto diverso, come struttura, da quello di altre società delle dimensioni, chiaramente, del Genoa: non dimentichiamoci infatti delle grandi. È quindi un bilancio dove il risultato dell’anno dipende molto dalla capacità di mantenere un equilibrio tra ricavi e costi, e per una società di calcio i costi principali sono ovviamente quelli del personale, gli stipendi dei calciatori.
I ricavi, purtroppo, dipendono in larga parte dalla televisione. Quello che differenzia il bilancio del Genoa complessivamente da quello di altre squadre è che ci si sta ancora trascinando – pur via via lavorandovi – un debito pregresso per l’IVA, il cosiddetto “debito fiscale”. Sono quei famosi 70 milioni di cui si parla da tempo. Questa è la cosa un po’ particolare che ha il nostro bilancio – e negativa – perché condiziona la politica che la società deve fare a livello di austerity rispetto a quella di altre squadre.
Se non erro, i costi del personale sono aumentati di un paio di milioni di euro rispetto all’anno scorso (da 47 milioni a 49, ndr) con cifre importanti anche dal punto di vista delle plusvalenze, intorno ai 32 milioni. Secondo lei con questi numeri, il Genoa a che squadre può essere rapportato?
Direi che noi siamo in una fascia medio-altra di costi (del personale, ndr): più alta di noi la Fiorentina, in linea invece squadre come Torino e altre. Poi ci sono le grandi che riescono ad andare oltre i 100 milioni e altre squadre che riescono a contenere i costi del personale intorno ai 25/30 milioni di euro l’anno. Si ricordi sempre che quando si legge questo dato si parla di costo per la società: infatti, come per ogni normale dipendente, per ogni euro che viene dato al calciatore bisogna moltiplicare quasi per due il costo per la società, che deve pagare INPS e quant’altro.
Quest’anno effettivamente è cresciuto, un po’ in controtendenza con quanto accaduto negli anni passati. Purtroppo un bilancio dà informazioni sintetiche: non si riesce sempre ad avere – e, attenzione, non è obbligatorio scriverla – la composizione di questa cifra. Direi che è possibile che all’interno, come accaduto negli anni passati anche in altre squadre, ci possano essere costi allegati alla rescissione anticipata di alcuni contratti. Ma anche questo è un dato comune a molte altre squadre: non siamo molto diversi da altre società.
Sul versante delle plusvalenze vale la regola che vale per tutte le altre squadre, comprese anche Juventus e Napoli per dire: il sistema calcio italiano è tale per cui reperire risorse dal mercato, ossia il calciomercato, è necessario per pareggiare i costi. C’è chi poi lo fa meglio, chi lo fa peggio, chi investe bene e chi male. E anche chi è fortunato, perché gli anni a volte vanno male ed è una costante per tutte le squadre di calcio, dalle più piccole alle più grandi, chiaramente con valori diversi a seconda di quella che è la portata della squadra.
DI SEGUITO L’AUDIO DELL’INTERVISTA A DIEGO TARÌ: