Sappiamo tutti che sarebbe più confortante sentirsi dire “arriva questo, arriva quello”, ma l’antifona di queste ultime giornate è stata un’altra, e lo si è capito subito: “bisogna accordarsi entro fine 2017“. Questo è stato infatti il messaggio del Presidente FIGC Carlo Tavecchio alcuni giorni fa, in occasione dell’assemblea di Lega, prima della quale si era tenuta l’apertura delle buste per l’acquisizione dei diritti televisivi per il triennio 2018/2021 (clicca qui per saperne di più).
Il vero colpo di scena, quel giorno, non era stato soltanto il fatto che le offerte non erano state ritenute soddisfacenti, ma anche che Mediaset si era volontariamente tirata fuori dal presentarne. Insomma, considerando che per il triennio 2015/2018 la contribuzione (in milioni di euro, ndr) da parte del colosso televisivo di proprietà della famiglia Berlusconi – e, per un 28,8%, della francese Vivendi – era stato di un miliardo e 140 milioni di euro, il passaggio da questa somma a zero non ha potuto che far riflettere.
Oltretutto si è caduti subito nello spauracchio del “niente più partite in televisione”, dimenticandosi che tutta la prossima stagione è ancora garantita dal precedente bando con le medesime formule della precedente stagione. Ma non è questo il punto: la reale paura – che tange Lega, club e bilanci societari – è che la somma per l’acquisizione dei diritti tv sino al 2021 possa ridursi in modo consistente. Teniamo a mente un dato: per acquisire le prestazioni sulla sola Serie A, Sky offrì nel 2014 una cifra intorno ai un miliardo e 705 milioni di euro, con investimenti di poco inferiori ai 600 milioni all’anno.
In parallelo, Mediaset mise sul piatto qualche denaro in meno, restringendo il pacchetto offerto ai suoi abbonati: tuttavia la cifra investita rimaneva da capogiro se paragonata alla busta bianca presentata in via Rosellini. Si parlava infatti di un miliardo e 14 milioni di euro (circa 340 milioni all’anno distribuiti in misure diverse, ndr).
IN ATTESA DI NUOVI SCENARI, SOLO 2 CLUB SOPRA I 100 MILIONI DI RICAVI TV
Per acquisire i pacchetti delle tre stagioni post-Mondiale, le offerte non sono neppure lontanamente in linea con quelle degli anni precedenti e in un calcio, quello italiano, dove i diritti televisivi rappresentano il 48% degli utili per pareggiare ricavi e costi (per approfondire, leggere la nostra intervista all’esperto Diego Tarì cliccando qui), la necessità di trovare un’intesa senza perdere anche Mediaset sembra vitale. Noi abbiamo voluto capire quanto incidono sui bilanci di una squadra, in una sola stagione sportiva, i diritti televisivi. Per farlo abbiamo preso in considerazione i dati d’esercizio delle 20 squadre che composero, alla griglia di partenza, la Serie A 2015/2016. L’ultima stagione di Gasperini sulla panchina rossoblu, tanto per intenderci. Di seguito i dati, tratti dal sito www.footyrate.com:
- Atalanta: 29,20 milioni
- Bologna: 34,06 milioni
- Carpi: 23,33 milioni
- Chievo: 34 milioni (approssimazione sulla base dei precedenti bilanci)
- Empoli: 29,03 milioni
- Fiorentina: 66,55 milioni (70,25 al giugno 2016)
- Frosinone: 20,1 milioni
- GENOA: 39,34 milioni (anno successivo alla mancata partecipazione all’Europa League)
- Inter: 79,02 milioni
- Juventus: 194,90 milioni
- Lazio: 67,88 milioni
- Milan: 84,02 (87,91 al giugno 2016)
- Napoli: 92,70 milioni
- Palermo: 35,13 milioni
- Roma: 133,46
- Sampdoria: 40,65 milioni
- Sassuolo: 25,98 milioni
- Torino: 45,68 milioni
- Udinese: 36,08 milioni
- Verona: 26,43 milioni
In qualche modo, la virtuale e approssimativa classifica che viene fuori da questa tabella di introiti è la seguente: Juventus, Roma, Napoli, Milan, Inter, Lazio, Fiorentina, Torino, Sampdoria, Genoa, Udinese, Palermo, Bologna, Chievo, Atalanta, Empoli, Verona, Sassuolo, Carpi, Frosinone. In totale, si parla di una cifra stagionale intorno al miliardo e 150 milioni di euro, a fronte della quale la Lega andó ad incassare 2,8 miliardi in tre anni, sulla base del precedente bando di cui si parlava poco sopra.
La sensazione, a vedere le cifre che sono state offerte la scorsa settimana, è che in qualche modo si attendessero degli sconti. Come ha detto giustamente il telegiornale de La7, “il calcio italiano non è forse giunto al punto di costare più di ciò che offre?“. La domanda è lecita, la confusione molta, le pretese della Lega alte e, a rigor di logica, non perseguibili all’atto pratico. Si tenga in considerazione che non solo le offerte sono state basse e di poco superiori la base d’asta, ma che l’assenza di Mediaset ha proiettato in uno scenario apocalittico: un miliardo e 320 milioni da Sky, 150 milioni di euro da Perform Group per le piattaforme Internet, il tutto suddivisibile in tre anni. Meno di un miliardo e mezzo da redistribuire in tre stagioni, con un sostanziale dimezzamento della somma da suddividere con le venti squadre della Serie A. Scenario insostenibile.
LA RIPARTIZIONE DEI DIRITTI: TRA MODALITÀ E SPERANZE DI RIFORMA
Per avviarci alla conclusione, dovremo tenere in conto ancora un punto: le modalità di ripartizione di questi diritti. Perché un capitolo importante è quello relativo alla Legge Melandri, che dal 2008 regolamentava la distribuzione delle quote per i diritti audiovisivi e imponeva che un 40% del totale venisse ridistribuito in maniera uguale alle 20 formazioni di Serie A. Di riformarla e portarla a garantirne almeno la metà distribuiti in maniera equa se ne parla da tempo, e se l’approvazione di un cambiamento della legge era atteso per fine maggio, le parole del Ministro allo Sport Luca Lotti all’Ansa hanno recentemente fatto capire che bisognerà ancora attendere. “Dobbiamo dare più certezze e chiarezza riguardo ai criteri di assegnazione dei diritti tv e siamo disposti a salire fino a 45-50% per la divisione delle risorse in parti eguali“.
Il restante 60% trova una doppia ripartizione: un 30% sulla base della storia, l’altro 30% sul bacino d’utenza. E se la matematica non è un’opinione, restando sui dati relativi alla stagione sportiva 2015/16, la somma attribuita in parte uguale a ciascuna squadra dovrebbe oscillare tra 20 e 23 milioni. Prendendo ad esempio il Genoa, tolta questa somma rimarrebbero tra 16 e 19 milioni, che suddivisi a loro volta per due al fine di individuare a quanto corrispondano quei “30 per cento” segnalati qualche riga sopra, si attesterebbero tra 8/9,5 milioni di euro. In altre parole, la storia del Genoa (dalla stagione 1946/47 tenuta come data post quem dalla Lega Serie A, ndr) vale meno di dieci milioni di euro. Inoltre anche il suo bacino d’utenza, mai sceso sotto il dodicesimo posto di questa stagione, sembrerebbe non valere più una decina di milioni di euro.
Se il dato statistico individuava poi, tra simpatizzanti e tifosi, il bacino d’utenza generale rossoblu (non solo presente allo stadio, ndr) intorno ai 540mila supporter, allora significa che ogni singolo tifoso rossoblu vale 18,5 euro agli occhi di chi calcola le rispettive redistribuzioni dei compensi.
Chiaramente si parla di numeri che, per quanto simbolici, devono fare riflettere, e non soltanto perché dal calcolo della Lega sulla spartizione di cifre astronomiche vengono disarcionati più di cinquant’anni di storia del calcio – da quella del Genoa a quelle di Torino o Bologna, vincitrici di scudetti storicamente indelebili -, ma anche perché di riforme si parla da tempo e, nei fatti, si è toccato con mano poco o nulla. Basti pensare che in Premier League, al netto della medesima stagione 2015/16, nessuna squadra è andata sotto i 90 milioni di euro di incassi dalle televisioni. Eppure le partite trasmesse, come sottolineava recentemente anche Tuttosport, non sono neppure la metà di quelle italiane.