Nel giorno della notizia di una svolta societaria in casa Genoa, tanto improvvisa quanto ventilata da tempo…
Notizia rilanciata da La Gazzetta dello Sport questa mattina che non ci ha colti totalmente di sorpresa: l'avevamo detto…
Publié par Buon Calcio a Tutti sur samedi 1 juillet 2017
…si sente ancora parlare a destra e a manca – perché sia bilanci che calciomercato sono stati messi all’ordine del giorno – di fair play finanziario e bonus. E se per i secondi si parla di buone soluzioni per diluire i pagamenti negli anni e sgravare i bilanci annuali, come ben spiegavano nei giorni scorsi i colleghi del Corriere dello Sport e di Tuttosport, il primo è una dimensione che dal 2003, anno dopo anno, ha assunto una chiara fisionomia prefissandosi obiettivi come quello di incentivare il mantenimento dell’equilibrio di bilancio in tutti i club d’Europa, da quelli di blasone a quelli che potremmo definire “in via di sviluppo”.
LA NASCITA DEL FAIR PLAY FINANZIARIO E LE SUE INDICAZIONI
A leggere direttamente nella testa della UEFA, “il fair play finanziario è il miglioramento della salute finanziaria generale dei club europei” ed è un progetto di risanamento che non tange soltanto il mondo del pallone, ma si allarga anche alla Commissione Europea e agli organi politici continentali, che mantengono un canale preferenziale di comunicazione con chi ha sviluppato i regolamenti del FFP (Financial Fair Play, ndr). Per non mandarle a dire a nessuno: la UEFA è consapevole che le squadre di calcio sono riflesso di chi vi sta dietro, in materia di investimenti e opportunità offerte dal territorio (o dalla nazione d’appartenenza), e lavora nella direzione di dare incentivi a tutte le formazioni del Vecchio Continente, pur ammettendo – e neppure troppo velatamente – che non c’è l’esigenza primaria di portare il calcio a livellarsi con le potenzialità dei grandi club europei.
Stupisce non poco infatti dover leggere che “l’obiettivo del fair play finanziario non è quello di rendere tutti i club uguali in grandezza e benessere economico”, bensì quello di incoraggiarli a progettare a lungo termine al fine di mettere una rapida “toppa” alle questioni di bilancio, le sole al centro della discussione.
Il far play finanziario nasce a livello embrionale nel 2003, viene approvato nel 2010 e le sue prime valutazioni a stretto giro sui club qualificati per le competizioni europee hanno avuto inizio nel 2011. Da quel momento le società hanno dovuto provare di non avere accumulato durante la stagione “pagamenti in ritardo verso altri club, verso i loro calciatori o verso le agenzie delle entrate”. In altre parole, hanno dovuto provare di avere i conti in ordine.
Dal 2013 si è passati poi a uno step successivo: i club sono stati infatti analizzati anche a livello di pareggio di bilancio. La richiesta è quella “che le società mantengano un equilibrio nel fatturato e si predispongano per non accumulare debito”. Per valutare questi parametri all’interno delle casse delle società e dei bilanci è stato creato l’ente indipendente CFCB (Club Financial Control Body, ndr), che prende in considerazione i conti delle società nell’arco di un triennio analizzandoli, poi, anno per anno. Risultare inadempienti con le direttive del pareggio di bilancio ha fatto emanare, nel 2014/2015, le prime sanzioni.
LE “DEROGHE” AL REGOLAMENTO
Per garantire il mantenimento degli equilibri nei conti societari e scongiurare una situazione debitoria insostenibile, “i club possono spendere fino a 5 milioni in più rispetto a quanto guadagnano lungo il periodo di valutazione”, quei famosi “tre anni” di cui si faceva menzione poche righe sopra. Ad ogni modo, come si è visto di recente col Milan, questo limite si può sforare laddove l’intero investimento venga coperto da un pagamento diretto della proprietà del club o da soci vicini alla società (sulla base del regolamento aggiornato, chiunque (in società o in minoranza, ndr) rappresenti più del 30% delle entrate di un club è automaticamente considerato un “related party”).
Il limite, a questo punto, si accresce sino a 30 milioni di euro. Tanto per fare un esempio di recente memoria, i 30 milioni di cui l’Inter aveva bisogno entro la giornata di ieri per essere messi a bilancio per il 2017 e coprire quelli spesi nelle campagne di calciomercato precedenti. Importante conoscere un altro passaggio delle norme UEFA: nell’ottica di promuovere investimenti in stadi, strutture d’allenamento, sviluppo dei settori giovanili e settore calcistico femminile (dal 2015, ndr), tutti i costi relativi a questi ambiti risulteranno esclusi dai calcoli sul pareggio di bilancio. Non un dettaglio da poco.
LE SANZIONI IN CASO DI INADEMPIENZA
Se un club non dovesse allinearsi con le norme della UEFA, sarà il CFCB a decidere misure e sanzioni. Essere inadempienti rispetto alle norme non significa che un club verrà automaticamente escluso da una competizione europea, ma non verranno comunque fatte eccezioni. In rapporto a diversi fattori, come il percorso intrapreso verso il pareggio di bilancio, possono essere imposte contro un club diverse misure disciplinari. Vi è infatti una lista di possibili sanzioni, che in ordine crescente di gravità vanno dall’avviso al rimprovero, dalla multa commisurata sui guadagni derivanti da partecipazioni alla UEFA nei 3 anni precedenti (il denaro non rimarrebbe ufficialmente nelle casse della UEFA, ma redistribuito, ndr) alla penalizzazione in termini di punti, dal trattenimento dei premi in denaro derivanti da una competizione UEFA alla proibizione di registrare nelle liste UEFA nuovi calciatori. Infine, passando alle sanzioni più gravi, si arriva anche alla restrizione del numero di calciatori che si possono registrare per una partecipazione alle competizione europee (sanzione che include anche i costi di gestione dei giocatori inclusi nella lista), alla squalifica da una competizione con esclusione anche dalle competizioni future e, sanzione massima, alla revoca di un titolo o di un riconoscimento.
LA LICENZA UEFA: CHI LA CONFERISCE E A QUALI CONDIZIONI
E chi concede le famose licenze UEFA? Sul sito ufficiale dell’organo federale del calcio europeo si legge che “ogni squadra che si sia qualificata per la Champions League o per l’Europa League necessita di una licenza che viene accordata a un club dalle federazioni nazionali“. La licenza si basa sulle cosiddette “UEFA Club Licensing and Financial Fair Play Regulations”, che poi sono, in soldoni, quelle spiegate sopra. Compito della UEFA è verificare in un secondo tempo conti e documentazione.
Da quando esiste il meccanismo della licenza UEFA, ovvero sia dal 2013, sono state 53 le squadre escluse dalle competizioni europee, 46 delle quali prima che venisse introdotto nel 2011 il fair play finanziario. Da questa data risultano “sei i club ad aver ricevuto il diniego a partecipare alle coppe europee per non aver pagato gli stipendi dei calciatori o le commissioni verso altri club per trasferimenti”. Si apprende poi che “un solo club è stato escluso a causa del mancato rispetto dei requisiti di pareggio di bilancio” (in quest’ultimo caso si tratta del Partizan Belgrado, che dovrà rimanere fuori dalle competizione UEFA sino al 2020 a causa di un debito di diversi milioni non saldato con chi di dovere nel corso di un paio anni. Punito non solo il mancato saldo, ma anche la recidiva).
CONCLUSIONI E OCCHI SUL FUTURO: TRA BILANCI E ISCRIZIONE AL CAMPIONATO 2018/19
Evidente a tutti, e non solamente alla UEFA o agli organi politici europei, che intercorrono larghe differenze tra il benessere economico delle singole squadre, e molto dipende anche dai paesi di provenienza. L’obiettivo finale di un lavoro di questo genere, da parte di un organo federale, è senza dubbio quello di far capire che si ha un ritorno economico migliore se si investigano i conti e si viene indirizzati con un regolamento – e con sanzioni – verso una progettazione a lungo termine. In questo senso è molto chiaro l’input dell’organo federale centrale: favorire investimenti sui giovani e sulle infrastrutture sportive, che servono per le società medio-piccole come attestato del buon lavoro fatto e che garantiscono un occhio di riguardo da parte della UEFA, che malgrado sia consapevole della stratificazione del calcio europeo per introiti si è voluta convincere che, “nel tempo, saranno di più le società medio-piccole con potenzialità per crescere”.
Il prossimo passaggio, che riguarderà da vicino anche il Genoa, è l’iscrizione al campionato 2018/19. In quel caso il club rossoblu, con o senza Preziosi al timone, dovrà presentare i conti a posto. In un circolo che dall’ambito nazionale si estende a quello continentale, l’intendimento è di avere bilanci a posto – o con un deficit minimo che non superi la non meglio identificata “deviazione accettabile” – nei due anni che precedono l’avvento della stagione post Mondiale in Russia.
Per il bilancio 2016 la perdita d’esercizio del Genoa era di poco più di 4.069.000 milioni, in ribasso di sei milioni di euro rispetto al 2015, con tutte le rimanenti cifre che sono state rese note alcune settimane fa (clicca qui per saperne di più). Per il nuovo bilancio 2017 (che nelle foto, tratte dal sito della Lega Calcio, è rappresentato con la lettera “T”) si dovrà invece attendere, ma le parole dell’amministratore delegato Zarbano avevano fatto capire che ci si era avvicinati al pareggio di bilancio, forse raggiungibile entro il prossimo bilancio d’esercizio alla luce anche delle nuove operazioni di mercato fatte entro la fine di giugno, specialmente quella dei giovani Pellegri e Salcedo. Ma questa, assieme ai bonus, è un’altra storia da analizzare più fondo e con maggiore cognizione di causa.