Fonte: Corriere dello Sport
Licenziato Ventura, il presidente della FIGC è invece rimasto in sella: cambiamento parziale nell’organigramma di una Federazione a cui servirebbe, a detta di tutti, un ricambio forte in proiezione di un futuro più roseo. Carlo Tavecchio però si sente ancora forte avendo i voti dei dilettanti e degli arbitri. L’unico ad aver lasciato anzitempo il consiglio è stato Damiano Tommasi, presidente dell’AssoCalciatori, che non appena ha capito che nessuno avrebbe tirato i remi in barca ha preferito abbandonare la seduta.
Oggi, sul Corriere dello Sport, col titolo “Perinetti, la verità sul crac”, ha parlato di Nazionale e del fallimento mondiale anche il direttore generale del Genoa (già consigliere dell’Adisa, ossia l’Associazione Italiana Direttori Sportivi, ndr), intervistato da Xavier Jacobelli, a sua volta direttore del quotidiano sportivo. Pubblichiamo un breve estratto delle parole del dg rossoblu e lasciamo indirettamente la parola a chi ne capisce di più e ha saputo cogliere più a fondo la vicenda azzurra, rimandando chi fosse interessato a leggere integralmente l’intervista alla pagina 9 dell’odierno Corriere dello Sport (clicca qui per leggere tutta la rassegna stampa di oggi). Il discorso parte da lontano, dal mondo dei procuratori, per arrivare infine a quello dei settori giovanili.
“La liberalizzazione dei procuratori ha determinato la progressiva estinzione della categoria dei direttori sportivi, ha comportato una progressiva perdita di competenza delle società a causa della perdita di competenza dei ds. Alcuni agenti, non bisogna mai generalizzare, se ne fregano degli interessi del club cui propongono i giocatori”. Il passaggio da questa dimensione alla Nazionale è breve. “Conte ha valorizzato il poco che aveva […]. Poi in Nazionale è arrivato Ventura, un altro con il quale ho avuto dimestichezza. Lui pure si è dovuto arrabattare con ciò che gli passava il convento. E qui entra in campo la questione dei vivai e dei centri tecnici federali che in Italia non funzionano. […] A che cosa servono queste strutture, se riservate soltanto ai dilettanti?”.
Dai centri federali si passa quindi al domandarsi il perché di un mancato “collegamento fra Under 21 e Nazionale maggiore”, fra Di Biagio e Ventura, e il perché di un campionato Primavera che, riformato perché si adattasse alle dinamiche della Serie A e del calcio di prima fascia, rischia di prendere ancor più una deriva orientata all’esasperazione della ricerca del risultato piuttosto che alla valorizzazione del talento dei calciatori, specialmente di quelli nostrani. Una crescita che potrebbe dipendere anche dalla condivisione di un’idea di modulo curata dalle leve minori sino alla prima squadra, lungo tutte le fasce d’età della Nazionale.
Perchè se così non fosse, “quand’anche venisse Ancelotti, anche uno come lui rischierebbe di essere la mano di vernice sulla facciata di un palazzo senza fondamenta. A cominciare dai settori giovanili, dalla Primavera”, ambiti in cui il dg rossoblu auspicherebbe tra le righe un accordo tra i presidenti affinché si imponga un tetto agli stranieri non tanto in rosa, quanto piuttosto in campo (“stabiliamo che ogni Primavera possa avere anche trenta non italiani, ma in campo ne vadano al massimo tre”).
“Bisogna passare dalle parole ai fatti. In Serie A ci sono quattro club che curano il settore giovanile e altri 16 che se ne fregano”.