Anche all’Olimpico di Roma, versione laziale, il Grifone non è volato neanche basso per una ventina di minuti, come a Reggio nell’Emilia in casa del Sassuolo. In Emilia era accaduto fra il 30’ e il 45′ e si erano incassate tre reti, nella Capitale il Genoa non è entrato in campo fino al 26’ prendendo 2 gol. Perché? Colpa della tattica con autobus parcheggiato davanti a Marchetti, della tecnica, per la cazzimma giusta oppure per gli atteggiamenti nell’affrontare partite che sono o non sono alla portata dei rossoblu? “Squadra che vince non si tocca” dirà qualcuno, più corretto dire “modulo tattico che vince non si tocca”.
Il Genoa cerca la sua identità, che ormai dopo 4 gare appare precisa: giocare in modo offensivo sfruttando il bene del calcio dalla cintola in su, con più qualità rispetto a quelli che giocano dietro, tutti e 3 con le stesse caratteristiche. Anzi, tutti e 4 o 5 con le medesime caratteristiche se si aggiungono anche Lisandro Lopez e Gunter, ieri quinto di destra a centrocampo in posizione non sua: la mancanza di anticipo e velocità assieme ad altre caratteristiche buone. Da cronisti ha dato fastidio vedere una difesa schierata a 5 uomini con Milinkovic-Savic libero non solo di fare gol ma anche assist gol. Grifo orfano delle corsie laterali, con Marusic e Lulic liberi di arare in tutta la loro lunghezza; Genoa corto nelle due linee tra difesa e centrocampo ma troppo lungo nelle marcature a centrocampo. Per esempio, c’erano trenta metri tra Leiva libero di impostare e Bessa play di giornata.
Si può marcare a zona, ma nella zona di competenza si deve marcare ad uomo, cosa mai vista nei primi 20 minuti scuri dell’Olimpico. Faceva caldo, ma i 30 gradi non sono stati percepiti solo dai genoani con i calzoncini rossi e la maglietta blu. Per queste cause al Genoa non è mai riuscita la prima fase di passaggio, il primo pressing e la prima ripartenza è arrivata dopo 16 minuti. Tutto è migliorato con l’uscita di Spolli al 26’ del primo tempo, per scelta tecnica e perché già ammonito dopo dieci minuti di gara. Semplicemente, con il 3-4-1-2 in seguito all’ingresso di Kouamé, è stato Medeiros a marcare da vicino Lucas Leiva da trequartista.
Il gol del Genoa è arrivato dopo un minuto di gioco del secondo tempo, sull’unico pallone giocabile per Piatek, e avrebbe potuto indirizzare la gara su un altro binario con i laziali stanchi. A mettere il sale sulle ali del Grifone è stato nuovamente al 56’ Milinkovic-Savic su cross di Lulic, libero dalla sua corsia di sinistra per stoppare il pallone, alzare la testa, prendere le misure del cross e renderlo puntuale per la testa del serbo, ostacolato da Criscito. Tutto avrebbe potuto rianimare il Vecchio Balordo se il direttore di gara Abisso, messo male per poter giudicare, e Maresca (il pompiere di Napoli) al Var non avesse confermato come a Benevento la sua scarsa attitudine alla tecnologia, non segnalando una chiara occasione da gol di Marusic su Kouamé: neanche fallo? Non sarebbe successo nulla probabilmente, ma non avremmo assistito per 25’ ad una partita da ritmi blandi.
Dopo il risultato contro la Lazio, il bicchiere genoano è mezzo pieno. Ballardini lo deve riempire nelle prossime tre gare due nel Tempio con Chievo e Parma e la trasferta di Frosinone. Deve brindare con il gioco che predilige, il 3-4-1-2. C’è tempo per i pullman davanti all’area di rigore con un Piatek capocannoniere, riflettendo sui gol incassati e sull’ingresso di Sandro al 61esimo. Il brasiliano non ha combinato molto, ma muovendosi davanti ai centrali difensivi ha offerto linee di passaggio sicure in fase di costruzione dal basso.
Ballardini come Napoleone, dalle stelle alle stalle. Per qualcuno ha le valigie in mano. Preziosi non sarà contento, visto uscire nero dalle viscere dell’ Olimpico, ma è uomo di calcio e ragionerà, penserà: guardiamo cosa succede con Sandro in campo, anche se non a pieno servizio, e guardiamo se tutti sapranno e si impegneranno a far traboccare il bicchiere per ubriacarsi. Il Vecchio Balordo astemio non piace a nessuno, neanche a Ballardini. Meno male che dopodomani si gioca!
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