I moduli del Genoa sono sempre come cercare l’ago nel pagliaio, invece per gli allenatori – prima Ballardini e dopo Juric – hanno dei vantaggi. Ballardini rispetto al croato non ha avuto a disposizione il giocatore cardine voluto prima dell’inizio del calciomercato: Sandro. Juric proverà a farne l’ago della bilancia del proprio gioco.

Difficile approfondire e spiegare che il  3-5-2 o il 5-3-2 perché sono moduli equivalenti. Si tratta di due strategie complementari che permettono di passare da un sistema all’altro in funzione dello sviluppo della manovra avversaria. Sono le posizioni dei “quinti”, cioè gli esterni, che determinano le disposizioni di centrocampo e difesa.

Il centrocampista centrale è l’uomo di equilibrio. Nel Genoa è Sandro, ancora alla ricerca della condizione ottimale, malgrado nelle statistiche post-gara sia già quello che sbaglia meno transizioni. Deve occupare la posizione di vertice basso davanti ai tre difensori, creando con gli stessi dei triangoli in fase di possesso. A questo giocatore si richiede grande duttilità e capacità di interdizione e quindi deve possedere spiccate doti tattiche. Ha il compito di proteggere centralmente i compagni di retroguardia (quello visto nel forcing finale della Juventus), deve saper mantenere equilibrata la squadra, in caso di vantaggio cercando di chiuderla subito e aspettare per colpire nuovamente (quello mancato nelle sconfitte del Grifone di Sassuolo e con il Parma) e fungendo da collegamento coi compagni di reparto. È il primo ad andare in copertura e a sostegno degli altri centrocampisti ma deve sapersi anche sacrificare, quando  necessario, inserendosi nella linea di difesa. Il suo ruolo è un ruolo nel quale non importa quanto corri, ma dove corri e perché. Problema non valutato da tanti spettatori di calcio quando etichettano il play o centrale con un semplice “è lento“.

In questo momento per il Genoa schierare un regista arretrato è un’esigenza vista la scomparsa del libero che permetteva di avere un uomo in più  a centrocampo o in attacco. Il tutto senza dimenticarsi del ruolo basilare degli esterni con qualsiasi numero di modulo:  sono ali aggiunte perché devono sdoppiarsi interpretando le due fasi di gioco, quella offensiva e quella difensiva. Gli esterni bassi moderni (che attirano a sé e allargano le difese) portano chi difende a dover chiudere gli spazi centralmente, in particolare quando gli avversari schierano un uomo, un trequartista, che non è più il classico numero 10  tra le linee. La marcatura di quest’ultimo è affidata proprio al regista basso che deve saper leggere gli inserimenti dei centrocampisti centrali e raddoppiare sulle punte.

Oggi il “libero” della squadra è il play, il metodista, il metronomo quando detta i tempi della manovra e rispetto al passato non gioca alle spalle, come facevano i liberi, ma davanti con il doppio compito di difendere e organizzare le ripartenze. Si tratta dell’uomo dei tempi e dei ritmi, veloce e rapido di pensiero, che deve essere bravo sia nel breve sia nel lungo  oltre ad avere la capacità di lettura tattica di cui si parlava poco prima.

Se Juric, con Sandro o Veloso o con la loro qualità insieme, riuscirà a far funzionare il cuore del gioco genoano ci dovrebbero essere più garanzie difensive. Per non farla diventare scontata tutto dovrà essere supportato dagli esterni e dai due attaccanti perché il carico del peso offensivo grava quasi interamente su di loro.

Juric già con la Juventus ha fatto vedere in una parte del secondo tempo, per evitare la prevedibilità di movimenti offensivi con  la partecipazione collettiva di tutta la squadra alla costruzione del gioco, qualcosa che gli è sempre piaciuto: gli inserimenti dei centrocampisti. Altra mossa rispetto al passato quella di non marcare a uomo, strategia utilizzata nel Crotone e nel primo Genoa per ostacolare la fase di possesso degli avversari inducendoli all’errore per riconquistare subito il pallone.

Numeri di moduli e strategie tattiche fanno parte del gioco i durante gli allenamenti e sono chicche del calcio. L’allenatore insegna durante la settimana, nei ritiri, quella tattica e quella tecnica che in Serie A i calciatori dovrebbero avere già assimilata. Durante le gare, poi, un tecnico dalla panchina non può percepire e programmare le sensazioni o le percezioni. Ad esempio, su un lancio lungo lo stop ben fatto a testa alta è la prerogativa principale per condurre e ripartire con una buona azione.

In una gara chi deve calcolare tutto in fase di possesso è un calciatore, non l’allenatore. Se mi smarco in tempo e vicino alla zona “luce” (spazio in cui il compagno può vedermi) semplifico il lavoro di chi ha il pallone giocabile, in particolare se è poco tecnico. In fase di non possesso, si deve dare nello spazio-tempo la copertura ad un compagno che sta subendo un dribbling aiutandolo a scegliere l’opportunità più giusta avendo il compagno vicino pronto ad intervenire: aspettare, accompagnare verso un lato morto oppure  intervenire sul pallone sapendo di essere coperto. Del resto lo abbiamo già scritto: tempo e spazio sono l’ABC del calcio per far funzionare una squadra nella prestazione individuale e collettiva in entrambe le fasi di gioco.

Quello scritto oggi non è essere saccenti ma essere stati fortunati ad avere conosciuto e ascoltato il Professor Franco Ferrari, ricordato più come terzino degli anni 70 che come docente all’Università del calcio di Coverciano.


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