Genoani si nasce e Genoani si diventa. La storia di Giovanna Rosi, vice presidente dell’USSI Liguria e volto noto dell’informazione televisiva genovese e nazionale, è la dimostrazione più chiara di come si nutra il sentimento chiamato “Genoa”. La chiamata alle armi a fianco dei colori rossoblu arrivò alle elementari, dall’interno del suo astuccio, e proseguì come tifosa prima, come segretaria del Genoa Club “Thomas Moore” poi. Sofferenza e gioie, primati e ricordi. Tutto materiale coltivato negli anni, come quella zolla di campo esportata da Anfield Road e per anni tenuta viva a Genova oppure la lunga ricerca di quale simbolo dare al Genoa Club “Thomas Moore Cooperativa di Facchinaggio”.
“Alla prima riunione per decidere che logo stampare sugli adesivi decidemmo che il pezzo più pesante, ai tempi, in un trasloco, era la lavatrice. E il simbolo diventò così un Grifone che portava una lavatrice sulla schiena“. La migliore allegoria di cosa sia il Genoa nel vissuto quotidiano, di settimana in settimana.
“Per anni ho tenuto nascosta la mia fede calcistica avendo un ruolo importante in una televisione importante. Era giusto che il nostro cuore calcistico rimanesse intimo. Adesso si può dire: il mio cuore è rossoblu. E non solo perché ho cuore venoso e cuore arterioso. Lo sono diventata sebbene in casa nessuno lo fosse. Ricordo però distintamente un episodio, in seconda elementare: avevo un foglietto di quelli a quadretti grossi, da elementari, con l’inno del Genoa scritto sopra a penna rossa. Lo guardavo, lo cantavo e lo recitavo. Sarà stata una chiamata arrivata da qualche parte: e io ho risposto”.
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“Posso dire che il ricordo più nitido è quello di Liverpool, di una trasferta indelebile nel vecchio Anfield Road. Noi andammo con tantissimi aerei (alcuni partirono addirittura da Liverpool per arrivare alle 10 o 11 di mattina). Chiesi a un poliziotto se potevo prendere una zolla di campo e me lo concesse. Continuai a nutrirla per tanti e tanti anni finché non se la mangiò il mio gatto. Ma i ricordi che mi legano al Genoa sono anche quelli delle persone che non ci sono più. Partendo dalla gradinata Pippo Spagnolo, che era un po’ il fratello grande di tutti noi. Poi il capitano Signorini. E assolutamente il Professore Scoglio: con lui vivemmo esperienze straordinarie, liti, risate, sostegno reciproco”.
“Cosa mi attendo dal futuro? Di smetterla di soffrire e avere un po’ più coerenza, concretezza e rispetto verso questa città. Non solo da parte dell’assetto societario, dal primo all’ultimo tassello di questo puzzle, ma anche della città. Mettiamoci attenzione e rispetto perché stiamo parlando di presidi culturali da cui non si può prescindere”.
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