“Da Pozzo, Fongaro, Bruno, Occhetta, Colombo, Baveni, Bolzoni, Giacomini, Firmani, Pantaleoni, Bean“. Sin dalla notte dei tempi, ricordare a memoria una formazione è stato, nell’ambito del mondo del pallone, sinonimo di epica, di storie indelebili. Se ne ricordano tante, prima fra tutti il ritornello carioca “Didì-Vavà-Pelè” in auge tra 1954 e 1962. Più o meno gli stessi anni che hanno portato l’osservatore urbano (portava i turisti in giro per New York a bordo della sua Chevrolet, ndr) e pornologo Michele Capozzi, socio fondatore del Genoa Club New York nella sua nuova versione datata 1991, a ricordare a memoria l’undici titolare del Genoa 1962/63 allenato da Renato Gei. Un ricordo che si somma a quello di Abbadie.
“Come divento Genoano? Abbadie. Se vuoi proprio un ricordo è quello, ma il perché non te lo so dire. La prima volta che sono andato in Gradinata era negli anni Cinquanta. Tempo fa mi ci hanno riportato, oggi vado nei Distinti. Ma se chiudo gli occhi vedo Abbadie, lo vedo che fa cose sotto la Nord. Era un campione, era un uragano. Poi mio padre era genoano e lo sono diventato di conseguenza anch’io”.
Una genoanità esportata e mantenuta viva anche lontano dall’Italia, nella Grande Mela, dove Michele Capozzi ha vissuto per oltre trent’anni. Uno dei soli quaranta inquilini di New York che, in virtù della grandfather law, ha potuto abitare su una nave ancorata sul fiume Hudson. Là dove un’intervista a Repubblica del 2009 svelava essere stato anche aiuto regista a Brian De Palma, il direttore di produzione del decimo film della saga di James Bond. Un genoano a tinte forti, trasgressivo quanto basta per ridare lustro al Genoa Club New York nella città divenuta famosa per il suo meltin pot. Così tanto simile a Genova.