Tattica, numeri, moduli continuano a imperversare tra gli addetti ai lavori. Non tra gli allenatori, i quali sono più interessati alle fasi di costruzione, sviluppo e non possesso per affrontare tutti i sistemi di gioco avversari. Il calcio si vuole intricare attraverso i numeri, ma la necessità di tutti i tecnici è quella di interpretare spiegando correttamente le “situazioni dinamiche di gioco“ che si susseguono in ogni gara, ad alta velocità, e che richiedono più che i numeri di modulo la precisione, la capacità di anticipazione.
Per i tecnici e i loro collaboratori sapere in anticipo ciò che si potrebbe verificare nella gara successiva dopo aver esaminato i propri errori e quelli degli avversari più frequenti è un vantaggio importante da trasmettere ai propri calciatori durante gli allenamenti e le gare. In passato abbiamo già scritto del 3-5-2, un modulo che staticamente che non può paragonarsi al 4-3-3 oppure al 4-2-3-1.
Il 4 3 3 si differenzia poco dal 4 2 3 1: sono schemi tattici affidabili e probabilmente i più flessibili a disposizione di un allenatore. L’idea del gioco fondato per la maggior parte sul movimento senza pallone, dogma e pilastro del calcio moderno, li raffigura bene.
Altro principio sono le sovrapposizioni dei terzini, le ali (chiamiamoli così invece che esterni) con tendenza ad accentrarsi, almeno uno dei due un trequartista con forte tendenza ad essere una seconda punta, e una coppia di centrocampo (4-2-3-1) capace di unire quantità e costruzione del gioco.
Il nuovo 4 2 3 1 o 4 3 3 è stato rimodernato negli ultimi anni, in particolare in Europa: per come era predisposto è uno schema con poche variabili e quindi facilmente ostacolabile dagli avversari. I moduli predetti si possono giocare con una prima punta di ruolo, ma fino a qualche mese fa, affinché la manovra offensiva assumesse più imprevedibilità, si è provato ad utilizzare il falso nove.
Il 4 2 3 1 visto in Europa, quello di Klopp in particolare, è stato interessante con i terzini pronti a diventare interni di centrocampo in fase di possesso che non devono solo distruggere o impostare, ma sono centrocampisti a tutto campo che ripiegano e si inseriscono con continuità. Il trequartista pronto e bravo a fare l’elastico tra centrocampo e porta avversaria, la prima punta che oltre vedere e sentire la porta è capace di fare sponda e muoversi negli spazi.
Un dinamismo di ipotesi di gioco difficile da trovare in altri moduli. Tutto si ottiene quando tutti corrono bene e non a vuoto, riesce anche se non è interpretato dal top dei calciatori che lo diventeranno in futuro.
Parlando di Genoa, Prandelli in questi suoi 70 giorni circa di lavoro, dall’inizio del girone di ritorno, ha scelto il 4 3 3 oppure il 4 2 3 1 perché gli consentono di avere un centrocampo folto, con molti calciatori in grado di poter fraseggiare nello stretto e nella costruzione con un reparto di 5 calciatori (4 1 4 1) sempre ben scaglionati in fase di non possesso, con l’ultimo arrivato Radovanovic davanti alla difesa e l’abbassamento dei due esterni o del trequartista sulla linea di centrocampo.
Ruolo importante in questa strategia è quello di Sanabria, che con il fisico e la tecnica deve fare la preferenza giusta per i tre che gli girano intorno leggendo al meglio i movimenti e comportandosi di conseguenza. Il Vecchio Balordo sta ancora imparando la lezione, ma il miglioramento di stare in campo sì è visto di partita in partita. Prandelli continuerà a lavorare sul lavoro del gruppo. Appurato che tutti interpretano la gara con applicazione e disciplina tattica, la fatica maggiore il tecnico la farà nel fare assimilare la linearità dei passaggi nei movimenti di reparto che devono essere sempre attenti in ogni fase della gara alla gestione del pallone in modo elastico, nelle individualità e nel collettivo, con combinazioni di gioco e sempre tenendo d’occhio gli avversari.
Prandelli è anche conscio di avere degli elementi a disposizione che in campo potrebbero mettere più fantasia. Sarà anche consapevole che i tre centrocampisti che vorrà schierare in particolare dentro il Tempio non possono avere quasi le stesse caratteristiche: giocare dietro la linea del pallone, utilizzare il passaggio orizzontale o indietro cercando poco la profondità, giocare facile in modo prevedibile, sempre attaccati l’uno all’altro, non sposta gli equilibri in una gara.
Prandelli dal suo arrivo ha lavorato molto anche sui palloni inattivi e non avendolo mai visto all’opera durante l’allenamento, quello del martedì conta poco, anche sui lanci dalle retrovie che dovranno migliorare nella precisione e sui cambi campo pronti ad allargare le difese avversarie e lasciare duelli individuali ai tre davanti.
Sulla difesa a tre o quattro vorrei riproporre alcune considerazioni di Chiellini, uno che dovrebbe saperne molto visto l’utilizzo di Allegri. Dice: “con la difesa a tre i due centrali devono essere più aggressivi, creare superiorità in fase di possesso pallone e rinforzare il centrocampo per prendere i calciatori in mezzo alle linee. Al ruolo, quello di marcatore, viene chiesto di coprire più campo”.
“A 4 hai più uomini a centrocampo e meno in difesa, devi essere più accorto, devi giocare più di lettura perché hai meno copertura. Dipende anche da che squadra affronti, è meno richiesta la fase di impostazione. Impostare nella difesa a tre o quattro fa una certa differenza. La discriminante non è tanto una questione di modulo, ma di movimento dei calciatori, e solo chi lo vive sul campo il calcio attuale riesce a coglierne i risultati“.
Tirando le conclusioni, non possiamo che riferirci a Klopp e ai suoi dogmi: “creare situazioni di vantaggio numerico; in allenamento provare e riprovare il raddoppio sistematico sul portatore di pallone, ogni calciatore compreso gli attaccanti con compiti precisi di copertura per non concedere spazi agli avversari; un pressing pronto ad indurli all’errore e, appena conquistato il pallone, verticalizzare subito per arrivare il primo possibile al tiro. Tutto funziona se tutti sono al top della forma, obiettivi che si ottengono con carichi di lavoro pesanti. Obiettivo principale muovere la squadra in spazi strettissimi”.
A Klopp – ma anche a tutti gli altri allenatori – non interessano i numeri di modulo che possono essere solo statici, ma piacciono quelli dinamici che in corso di partita devono essere definiti con fantasia, cambiando in corsa sia uomini che tattica.