Ne de mazu ne de mazun, nu te levà u pelissun (“non levarti il maglione pesante né di marzo né di maggio”).

Un proverbio ligure potrebbe essere utile a spiegare perché, ai primordi della primavera, il calcio internazionale ed europeo deve stare ben attento a svestirsi. Non tanto per il clima meteorologico di queste ultime settimane, quanto per quello avvertito nei salotti del calcio europeo, dove a distanza di otto mesi dalle prime avvisaglie di una riforma delle competizioni europee è tornato il gelo. ECA da una parte, Leghe Europee dall’altra. La UEFA, uscita dal letargo, subito a fare da paciere.

L’oggetto del contendere è la riforma dei campionati europei, che per i prossimi due anni vestiranno ancora i panni a cui siamo abituati, ma già dal 2021/2022 dovrebbero subire un restyling. L’ECA (European Club Association), presieduta da Andrea Agnelli, è da tempo che fa ventilare l’ipotesi di una Superlega (o Super Champions, ndr) che consenta ai grandi club di partecipare con continuità alle competizioni europee. Non una novità, insomma. Ciò che rappresenta una novità sono piuttosto i dettagli trapelati nelle ultime settimane, prima del vertice tra Leghe Europee e UEFA. Dettagli che a molti non sono piaciuti.

COME CAMBIEREBBERO ENTRO IL 2021 LE COMPETIZIONI EUROPEE

In particolare due sono stati mal digeriti: creare un meccanismo di promozioni e retrocessioni all’interno della Superlega (una sorta di ranking itinerante basato su meriti sportivi) e, soprattutto, destinare un numero sempre maggiore di weekend al calcio europeo, in barba ai vari campionati che finirebbero per disputarsi a metà settimana con “buona pace” dei tifosi in generale, quando non dei tifosi lavoratori o di quelli studenti.

Proprio su questo punto si è scatenata una larga maggioranza dei club europei, riuniti due giorni fa a Madrid sotto la sigla delle Leghe Europee. Una riunione ricca di dissidenti che ha sostanzialmente messo sul piatto un argomento: se un terzo del campionato si giocasse in infrasettimanale per venire incontro alle volontà di una decina di top club, sarebbe un salasso per tutti in termini economici. Una perdita rilevante, stimata da KPMG come vicina al 50% degli introiti. Un campanello d’allarme troppo roboante per essere trascurato, specialmente in un calcio che ormai basa la propria sopravvivenza sui diritti televisivi.

Se il piano della ECA di Agnelli andrà avanti, il valore dei club spagnoli si ribasserà quasi della metà. E quanto accadrebbe in Spagna, accadrebbe anche negli altri campionati europei“. Non a caso, all’assemblea di Madrid, il primo a tuonare è stato Javier Tebas, presidente della Lega calcio spagnola da cinque stagioni e vecchia conoscenza del mondo dei diritti televisivi della campionato italiano sin da quando, un anno fa, era pronto a diventare l’amministratore delegato della Lega Serie A. Uno che il dente avvelenato non nasconde affatto di averlo, uno che con Inter e Juventus aveva aperto un contenzioso a distanza definendoli, nell’agosto 2018, due “club-Stato”. E se il bersaglio è il presidente dell’ECA, nonché presidente della Juventus, allora le sue dichiarazioni si fanno ancora più veementi. “Nell’ECA comandano i dieci club più potenti, gli unici a cui interessa questa riforma – ha precisato Tebas – e anche se hai 109 club con diritto di voto, comandano loro dieci“.

Parole che hanno scoperchiato un vaso di Pandora, trovando molti alleati (da Cairo a Lotito, che tanto per rimanere al campionato italiano erano fra i maggiori sostenitori di Tebas quale amministratore delegato di Lega Serie A, ndr) e aprendo a fatica le porte al confronto di Nyon avvenuto ieri tra Leghe Europee e UEFA. Un confronto durante il quale il presidente Ceferin (UEFA) è stato abbastanza chiaro spiegando che “ogni modifica verrà concordata“. Che poi non è altro che la frase che le società medio-piccole volevano sentirsi dire. Il più politico dei “cessate il fuoco”.

In casa ECA e UEFA, nell’ottica di promuovere qualcosa di nuovo entro i prossimi due anni, la volontà di accelerare i tempi è chiara, se non altro per quel fiume di introiti e spazi pubblicitari che una nuova competizione, allargata a 96 club e tre competizioni, potrebbe generare. Dall’altra parte, sul fronte delle Leghe Europee e di buona parte dei presidenti delle società medio-piccole dei vari campionati nazionali, la volontà è discuterne. E discuterne a fondo.  “Ora vogliono promozioni e retrocessioni – avrebbe spiegato ancora Tebas ripreso dai quotidiani spagnoli – però l’obiettivo finale è precludere la Champions a pochi club. E dopo questo passaggio, spostare i campionati nazionali“.

Un dipinto da “golpe”, quello di Tebas, che fa risultare molto, molto lontane le aperture che arrivarono a settembre 2018, dopo il summit ECA tenutosi a Spalato, quando in embrione c’era soltanto la riforma delle competizioni europee, ma di retrocessioni, promozioni e spostamenti di orario e giorno ancora non si parlava. Ora la guerra è aperta: tre competizioni potrebbero portare il monte ricavi a cifre record, presumibilmente ben superiori ai 2,1 miliardi incassati in questa stagione, e questo lo sanno tutti, soprattutto i club meno abituati ad avventure in Europa. Proprio quelli che vorrebbero boicottare l’idea di una competizione troppo elitaria e, contemporaneamente, non tirarsi indietro dal poter attingere al ricco portafogli che l’UEFA vorrebbe assicurarsi entro il 2024. Una data entro la quale si vorrebbe inaugurare la nuova Champions League.

Tutto è comunque ancora da delineare. Le Leghe Europee, mitigate dall’incontro di ieri a Nyon e rappresentate dall’amministratore delegato Lars-Christer Olsson, contano di proporre a Ceferin un progetto alternativo, che presumibilmente non partoriranno prima dell’autunno prossimo. L’ECA, invece, procede spedita e già il prossimo summit è stato fissato, il 5/6 giugno a Malta. C’è quindi un’Europa del calcio a due velocità, tra chi vuole decidere in fretta per vendere un nuovo prodotto e chi vuole prendere parte attivamente alle decisioni, ma stando all’opposizione. Perché ormai non si parla più tanto di calcio, ma soprattutto di politica e portafogli delle società.


Rinnovo competizioni europee, Agnelli e l’ECA rompono silenzio e immobilismo