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Genoa fanalino di coda dopo 20 turni: non accadeva dal 1960. Quando cambiare non paga

Ieri abbiamo parlato degli avvicendamenti in corso d’opera che al Genoa sono all’ordine del giorno, destabilizzanti per tutto l’ambiente. Il presidente Preziosi non riesce a frenarli, e ciò che frena è soltanto la classifica del Genoa. I numeri del girone di andata li abbiamo approfonditi la scorsa settimana e non sono migliorati al giro di boa dopo il 3-1 contro la Roma. Due allenatori hanno per adesso pagato errori altrui, mentre Davide Nicola, che il cuore genoano lo ha da sempre, si è ritirato fin da subito nel lavoro quotidiano, unica garanzia, e nella trasmissione della propria grinta ai calciatori per incanalare la risalita salvezza. Difficile, ma non impossibile con 18 giornate da disputare.

Fra i tecnici che si sono avvicendati, i quali hanno allenato la stessa squadra prima di gennaio, c’è un minimo comune denominatore: poco più di un gol segnato a partita. Il Genoa, insomma, ha avuto in un generoso Pandev (e aveva in un intraprendente Kouamè) le sue armi offensive più concrete. Non sono bastati, un’altra volta, a contenere un dato estremamente basso se rapportato ai gol subiti (41), ben oltre due a partita. Esattamente il doppio delle reti segnate. Una statistica che ti inchioda quasi sempre alla realtà dei fatti: cambiare (e cambiare sei allenatori in un anno!) il più delle volte non paga perché, solitamente, si pianifica all’inizio per non stravolgere tutto a metà percorso. O, ancora peggio, ad un terzo o due terzi del tragitto.

Nicola, che ha decisamente meno gare all’attivo su cui valutare il suo andamento e nella battaglia si è gettato volendone uscire vincitore, ha dato una lieve sterzata al Genoa mandando in gol nelle prime tre gare quasi solamente attaccanti (due volte Pandev e Sanabria). Criscito l’unica eccezione dal dischetto col Sassuolo. È anche l’allenatore ad avere la migliore media realizzativa (1,33 gol a partita), mentre è Thiago Motta a vantare il dato più basso (0,88). Ha una media esatta di due gol subiti a partita (6), ma nell’arco delle prime tre gare ha pagato dazio con almeno un trittico di reti grossolani incassate – quando non confezionate direttamente – dal reparto arretrato.

Un rigore gratuito di Romero a Verona e l’errore di Perin in Genoa-Roma, senza dimenticare lo sfortunato autogol di Biraschi. E mentre si denota un lieve incremento nella fase offensiva, a poco più di una settimana da fine mercato nessuno ha ancora messo a disposizione del tecnico rossoblu un attaccante pronto a giocare. Anzi, sono più le voci in uscita a tenere banco, come Sanabria all’Alves (o, da stamane, al Barcellona del suo ex allenatore Quique Setièn) o Pinamonti a Cagliari o Ferrara (previo riscatto dall’Inter). I rinforzi sarebbero dovuti essere a Pegli sin da inizio gennaio, specialmente l’attaccante dopo l’infortunio di Kouamè, ma oggi questo è il ruolo che più latita.

A cosa hanno portato sinora i rivolgimenti in panchina e la scelta di non giocare d’anticipo con investimenti immediati sul calciomercato di riparazione? All’attuale classifica e all’attuale calciomercato, entrambi non sufficienti. Non deve stupire quindi che appartenga alla gestione Preziosi il peggiore piazzamento del Genoa, nell’era dei tre punti, dopo venti giornate di Serie A. L’attuale presidente del Genoa – l’unico assieme ad Aldo Spinelli ad aver disputato campionati di Serie A col club rossoblu nell’era dei tre punti, anche se in larghissima maggioranza – è diventato qualche sera fa, dopo il successo esterno della Spal a Bergamo, il peggiore del dopoguerra rossoblu nel massimo campionato in questo dato. Lo certificano i numeri. Numeri che raccontano anche altro, tenendo conto che molte stagioni dal 1994, ossia dall’avvento dei tre punti ad oggi, sono state disputate dal Genoa in Serie B o Serie C (12 su 26).

Ad esempio che quest’anno si registra persino il record di sconfitte nel girone d’andata di un massimo campionato del Grifone (12 su 19) e un ricordo negativo per quanto concerne le gare a porta inviolata (2 su 20). Due record dei quali si sarebbe fatto volentieri a meno al 40esimo campionato di Serie A negli ultimi 75 anni di storia genoana, ma che inevitabilmente portano indietro l’orologio di sessant’anni, più precisamente alla stagione 1959/1960. Vigevano ancora i due punti a vittoria e il Genoa andava incontro ad un’annata disastrosa.

Ultimo dopo venti turni, quel Genoa non potè salvarsi né sul campo né fuori dal campo. Addirittura ricevette 28 punti di penalizzazione per un presunto (e mai provato) illecito sportivo prima di Atalanta-Genoa. Chiuse così a zero punti, con dieci punti di penalizzazione da scontare nel campionato successivo di Serie B.  “Gran valzer di allenatori nel 1959/60 – recitano le cronache dell’epoca scritte da una memoria storica come Amedeo Garibotti, ex segretario del Genoa, il quale prosegue: “in quell’anno, che consideriamo una delle brutte pagine della storia del Genoa, ne successero di tutti i colori. In un primo tempo la squadra venne affidata ad Antonio Busini in coppia con Gipo Poggi, poi a Poggi, poi a Jesse Carver, ed infine venne richiamato Annibale Frossi, che solo otto mesi prima era stato malamente allontanato. Una vera girandola di idee tecniche che frastornò la squadra oltre ogni dire. Una equipe che non riuscì mai ad assumere una propria fisionomia anche perché, dopo la rivoluzione iniziale ed i continui cambi di allenatore, il distinguere i titolari dalle riserve si sarebbe rivelato, al termine del torneo, fatica improba”.

Assonanze preoccupanti con la stagione in corso, che ha l’attenuante generica di avere davanti a sé ancora diciotto turni (e i tifosi, applaudendo la squadra domenica e tifando per tutta la gara hanno dimostrato che non si arrenderanno sino all’ultimo) e, per contro, la nitidissima aggravante di un presidente che sta abbandonando la squadra alla deriva, tra un calciomercato che non decolla e un silenzio preoccupante. Ma quel Genoa di sessant’anni fa non fu l’unico ad essersi ritrovato ultimo dopo venti giornate. Accadde in altre due occasioni, la più recente nel 1957/58.

La storia del Grifone ci racconta infatti anche del sodalizio rossoblu guidato da Renzo Magli, esonerato dopo poche giornate per fare posto al già citato Frossi. Quella squadra subirà sessanta reti in tutto il campionato, ma ne segnerà anche 53. Tredici porteranno la firma di Julio Cesar Abbadie, le altre verranno largamente propiziate dagli assist del Pardo, che si rese protagonista di alcune prestazioni di grandissimo e indimenticabile livello. Il Genoa, trascinato da alcuni singoli di livello, risalì la classifica e chiuse al dodicesimo posto con 30 punti. Come nelle due stagioni precedenti, il Genoa ha come presidente il re dei cinema genovesi e del mattone, Fausto Gadolla, che si è preso l’onere di gestire il Club più antico d’Italia in un periodo non semplice come il secondo dopoguerra.

Secondo dopoguerra dove era arrivata, sotto la presidenza Mairano, la seconda retrocessione in cadetteria nella storia del Genoa dopo quella del 1933/34. Era l’anno 1950/1951, cominciato con la tournée rossoblu in Centro America, tra Messico e Costa Rica, su esplicita richiesta della federazione calcistica messicana. L’andamento della stagione, aperta dai Mondiali in Brasile dove la Svezia e il calcio scandinavo si rivelarono al mondo (il Genoa prese ben tre calciatori svedesi quell’anno: Nilsson, Mellberg e Tapper), fu drammatico. Anche quel Genoa, allenato da Manlio Bacigalupo, si sarebbe ritrovato ultimo dopo 20 turni. A fine stagione sarebbe retrocesso per risorgere dopo due anni di cadetteria sotto la guida di Giacinto Ellena.


LA CLASSIFICA DEL GENOA DOPO 20 TURNI IN SERIE A (dal dopoguerra)

*campionato a 18 squadre  **campionato a 16 squadre


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