La partita accanto a Gianni era una lezione continua. Quando l’amata macchina da scrivere diventò un arnese ignoto alle tribune stampa, lui non si scompose: troppo bravo per non dribblare il contrattempo. Studiava la scena dal primo all’ultimo minuto, appuntandosi azioni, tattica, ambiente, psicologia, per produrre il prodigio finale: la dettatura a braccio del pezzo, sempre asciutto, limpido, esatto. Non una virgola in più, non una parola in eccesso. Misura perfetta. Il computer lo aveva in testa. Si teneva allenato con i suoi famosi giochetti mnemonici, ma soprattutto con l’ascolto. Sapeva ascoltare sul serio: un dono raro, frutto di sensibilità. L’aggettivo più adatto alle sue interviste è: piene.
Ogni anno veniva nella campagna genovese, da ospite schivo, al torneo in ricordo di mio fratello Fulvio. In mezzo a ex campioni, personaggi dello spettacolo e molta gente comune, non si atteggiava a protagonista, come pure avrebbe potuto. Chiacchierava con ironia. Osservava. Annotava nella mente. Ascoltava. Il pezzo a braccio, su qualsiasi persona (le capiva tutte, ricche e povere, famose e umili), gli si stampava nella memoria prodigiosa. Che è rimasta in tanti articoli. Adesso tocca a noi custodirla e tramandarla.