Il calcio italiano, dalla Serie A alla Lega Pro, entra nella sua settimana decisiva. Se non accadrà nell’immediato per le serie minori, almeno il massimo campionato italiano dovrebbe conoscere entro giovedì la data ufficiale di ripartenza. Sempre utile ribadire che si riparte per difendersi con più forza sul campo dei diritti televisivi, perché ai tifosi non si è dato molto ascolto, né da parte del calcio, né da parte del Governo. E molti sarebbero quelli che vorrebbero vedere il calcio non ripartire in loro assenza.
Una domanda spesso taciuta, ma di grande peso, è se vedere tornare il pallone a rotolare sull’erba della Serie A porterà effettivamente qualche beneficio anche alle leghe minori. Lo si è letto e scritto tante volte: il sistema calcio, nell’ottica di garantire una maggiore competitività tra le varie categorie, agisce secondo il meccanismo della mutualità, malgrado un forte ritardo rispetto agli altri campionati d’Europa. Sul tema, che tornerà attuale non appena si capirà che ne sarà dell’ultima tranche dei diritti tv, va fatta chiarezza.
Sicuramente tutto il sistema calcistico, professionistico e non, negli ultimi anni è arrivato a versare nelle casse dello Stato cifre vicine al miliardo di euro. Il dato presente nel “Conto Economico del calcio italiano” dell’anno 2016, ad esempio, è uno degli ultimi ad essere consultabili pubblicamente e si attesta intorno ai 920 milioni di euro (919,8). Ma se è vero, come si legge nel documento di Autoregolamentazione della Lega Pro (anno 2016), che esiste per così dire una “mutualità nella mutualità” per le squadre promosse dalla Serie C alla Serie B, chiamate a versare alla stessa Serie C un contributo di circa 516mila euro (nel caso in cui la promozione venga conseguita per effetto della classificazione al primo posto del girone di appartenenza) e di circa 774mila euro (nel caso in cui la promozione venga conseguita per effetto della classificazione dopo la disputa dei Play Off oppure in qualsiasi altro caso di ammissione alla lega superiore), è presumibile che questo rapporto di sovvenzione valga anche in caso di promozione dalla cadetteria alla Serie A. È un rapporto differente da quello che regola la mutualità, ben inteso, però certifica un tentativo di osmosi tra le varie divisioni per tenersi vicendevolmente in piedi.
Il documento di autoregolamentazione è importante anche per un altro motivo: le date che riporta. “Gli importi indicati verranno versati alla Lega Pro in due tranche di uguale importo, la prima entro il 30 dicembre e la seconda entro il 30 giugno della stagione sportiva successiva“. Se così fosse, questo scenario dovrebbe ripetersi entro il 30 giugno di quest’anno, ma non è dato sapere se diventerà oggetto di deroghe a causa del Covid-19. Se così fosse, quindi, esistono anche delle scadenze precise ed è una base da cui partire. Il calcio è lo sport con più seguito in Italia e, assieme al basket, ha concorso per otto, lunghi anni a “mutuare” denaro nella casse delle società delle leghe professionistiche e non professionistiche. Molto spesso, però, quando si parla del concetto di “mutualità” non si va indietro all’origine di questa misura, ovvero all’anno 2008 quando venne approvata la Legge Melandri.
L’articolo 23 del medesimo dispositivo introduceva una vera e propria Fondazione per la mutualità generale negli sport professionistici a squadre. La Fondazione, “dotata di piena autonomia statutaria e gestionale”, avrebbe dovuto indirizzare la propria attività esclusivamente al perseguimento degli scopi indicati nell’articolo 22. Quali? Destinare una quota (non inferiore al 4%) delle risorse economiche e finanziarie derivanti dalla commercializzazione dei diritti audiovisivi per sviluppo dei settori giovanili delle società professionistiche, al sostegno degli investimenti per la sicurezza, anche infrastrutturale, degli impianti sportivi, e al finanziamento di almeno due progetti per anno finalizzati a sostenere discipline sportive diverse da quelle calcistiche. Peraltro, sino alla stagione 2015/16, la Fondazione è stata obbligata destinare una quota delle risorse al programma straordinario per l’impiantistica (decreto legge 8 febbraio 2007) al fine di rendere la pratica calcistica “maggiormente rispondente alle mutate esigenze di sicurezza, fruibilità, apertura, redditività della gestione economica finanziaria”.
Perché destinare in forma obbligatoria una parte della mutualità alla sicurezza negli stadi? Perché il 2 febbraio 2007 era stato il giorno degli scontri di Catania, con la morte dell’ispettore capo di Polizia, Filippo Raciti. Un episodio di risonanza nazionale, ma anche internazionale, che nel giro di una settimana portò all’inasprimento della Legge Pisanu per la sicurezza sugli stadi (con ampi divieti e limitazioni anche all’ingresso negli impianti sportivi di striscioni o tamburi, spesso simboli del tifo calcistico a tutte le latitudini). Un anno dopo la tragedia di Catania, come noto, sarebbe arrivata la Legge Melandri.
La Legge Melandri, a dire il vero, ha una vita relativamente breve. Una vita relativamente breve che ruota intorno a quel famoso 4% di mutualità dalla Serie A agli altri campionati.
Un dato interessante sono le voci di ricavo più rilevanti del mondo dilettantistico, che poi sono quelle derivanti da contributi, offerte, donazioni, lasciti testamentari e liberalità che incidono per il 54% dei ricavi totali (siamo nell’ordine dei 493 milioni di euro a stagione, dato 2015). Sono numeri che la dicono lunga su quanto peseranno questi mesi di emergenza coronavirus sul calcio radicato nel territorio, in un quadrante geografico limitato che garantiva un bacino d’utenza costante e che oggi si vedrà togliere, per esempio, eventi collettivi come sagre o raduni. La voce in cui potrebbero rientrare anche le mutualità potrebbero essere i contributi annui di soci, proprietari o altri soggetti, che incidono per un 8,7% del totale (poco meno di 80 milioni di euro). Il dato è del 2015 e negli anni successivi i diritti televisivi del calcio italiano sono fra l’altro aumentanti. Il dato però è interessante se rapportato all’anno di uscita dell’approfondimento: il 2016.
In quell’anno un emendamento abolì la Fondazione, tagliò fuori il mondo del basket e affidò direttamente alla Federazione Italiana Giuoco Calcio la gestione della mutualità generale, ben più che raddoppiata passando dal 4% al 10% della quota totale dei diritti televisivi. All’epoca erano all’incirca 120 i milioni da redistribuire, ma appariva finalmente più chiara la redistribuzione tra Serie B (6%), Serie C (2%), LND (1%) e FIGC (1%). Il vero problema è che dall’anno 2017 è venuta a mancare la mutualità cosiddetta “CPI”, ovvero sia per le “Categorie Professionistiche Inferiori”. Una mutualità che rappresentava un incentivo rilevante, specialmente per le squadre di Serie B e Serie C, nell’adempiere ai costi gestionali, dalle iscrizioni ai campionati sino agli aspetti salariali.
L’anno 2016 è stato l’inizio di un periodo assai più confuso, fatto non soltanto di riunioni e tentativi di ristabilire la mutualità CPI, bensì di bracci di ferro tra Serie A e Serie B, quando non ancora più in giù. È ancora dell’anno scorso, prima che iniziasse la stagione 2019/2020 attualmente ferma, la notizia che la Lega Serie B aveva chiaramente “denunciato” il fatto che la Serie A le avesse riconosciuto una percentuale più bassa di quella dovuta in termini di mutualità. A dimostrazione di quanto se ne sia spesso parlato del calcio di Serie A che aiuta le altre serie, ma di come poco chiari siano i meccanismi di questo “aiuto”. Quel che è chiaro è che la cassa comune, da quattro anni a questa parte, è materia FIGC, che tiene le redini del calcio italiano professionistico e non. conto_economico_calcio_italiano_2016_it