Un’altra giornata amara per il Genoa in casa del Torino. I granata squadra impaurita, ma messa sotto solamente per 15’ del primo tempo dal Vecchio Balordo. Dopo hanno approfittato dei soliti regali alla genoana. Il primo gol di Bremer la copia di quello incassato nella gara di andata con il “treno merci” granata che ha avuto il semaforo verde dai difensori genoani: due volte in 7’ di gioco sempre con lo stesso protagonista.
Passati i primi 15’, non per merito del Toro scornato, non si è capito perché una mesta broccagine sembra essersi impadronita dei calciatori genoani. Non fosse più forte il dispetto, vi sarebbe di che mettersi a piangere. E tanto più è cocente quanto più ingenuo erano le nostre speranze aumentate dopo i primi quindici minuti di gioco.
Le lezioni al Genoa non contano per qualcosa; se non le mettono a frutto, fra una sessantina di ore, allora non possiamo che temere il peggio come non sarebbe né onesto né ammissibile.
Il modulo 3-4-3 o 3-4-1-2 che avrebbe dovuto sfruttare il fronte d’attacco è stato nullo e dopo il primo gol incassato su calcio d’angolo non ha assicurato adeguata copertura in difesa e due errori a campo aperto hanno portato gli altri gol di Lukic e Belotti davanti all’area di Perin, entrambi in grado di prendere la mira e centrare il sette.
Difficile capire perché non abbia funzionato visto che i calciatori di buona personalità in difesa e a centrocampo non dovrebbero mancare. La squadra corta non ha funzionato, applicazione di pressing e fuorigioco inesistenti.
Più che le tre pappine, fa paura il Grifone molle dopo le tre parate consecutive di Sirigu, ad inizio secondo tempo, specchiato nella sua pochezza rimettendo in discussione la classifica dopo la sconfitta casalinga del Lecce al mercoledì.
Il Genoa ha sbagliato il possibile e l’impossibile nell’atteggiamento, anche se per la formazione iniziale non si può polemizzare: era attesa, ma dopo un quarto d’ora è diventata discutibile perché troppo limitata nella tecnica di alcuni calciatori, mai entrati in partita e risultati fuori ruolo sulle corsie laterali per troppe transizioni elementari sbagliate. Il risultato di tutto ciò è stata una squadra scomposta quando si difende, neanche prevedibile quando riparte essendo senza terminale offensivo e neanche risollevata con i cambi che sulla carta apparivano giusti.
Non è più questione di tattica o modulo: al Genoa tutto va all’aria perché non supportato e suffragato da una sufficiente capacità tecnica, non per giovinezza, che causa errori individuali non da Serie A.
Il gioco è fatto di schemi geometrici, il più delle volte irregolari, e si deve improntare a un modulo di base tecnicamente ben definito. Prima del Covid per il Vecchio Balordo era il 3-5-2 o 5-3-2 , alla ripresa dopo il lockdown si è perso eccetto nel secondo tempo con il Napoli e con la Spal con la difesa a quattro e il 4-2-3-1 mascherato. In entrambi i casi tutto riusciva la tattica di fondarsi sullo spazio da occupare e sfruttare in un determinato tempo, così da chiudere i varchi agli avversari o da spalancare ai compagni. Senza tutto ciò, con annesso grinta, cazzimma, pressione, il Grifone diventa un pulcino bagnato.
Può darsi che non sia stato diplomatico per la paura che il Vecchio Balordo senza vittorie è nel vortice della terza squadra che deve retrocedere. E adesso? Senza chiacchiere e filosofia bisogna fare una grande partita contro il Lecce domenica prossima, col coltello tra i denti e combattere su ogni pallone senza nessuna scusa, neanche quella dello Stadio vuoto.
Anche noi prima di Torino-Genoa speravamo con la rosa a disposizione e la partita di domenica scorsa negli occhi in un campionato un pochino più digeribile di quello dello scorso anno, pur sempre con obiettivo primario la salvezza.
Invece Torino-Genoa è stata da psicanalisi per dichiarare terminata la pace dell’anima nostra almeno fino a domenica alle ore 21.30, prima di pensare alla stracittadina di mercoledì prossimo.