Davide Nicola aveva già lasciato un segno indelebile da calciatore nei tre anni trascorsi sotto la Lanterna e la Gradinata Nord. Un segno che si è rafforzato da allenatore negli otto mesi in panchina per salvare il Genoa da una retrocessione all’ultima giornata, oltretutto vincendo un derby che mancava nella bacheca del Grifone e in quella di Preziosi da 4 anni e mezzo, rimettendo in moto calciatori fermi da lungo tempo per inattività o infortuni e rilanciandone altri.
Ha cambiato strategie tattiche prima e durante le gare per cercare di rilanciare la fase offensiva, preoccupandosi anche di quella difensiva. Non ha lasciato nessuno indietro, creando un clima coeso dentro lo spogliatoio e ritrovando gol pesanti anche da parte di calciatori fuori da radar per molto tempo, come Lerager e Jagiello. Soltanto due nomi, ai quali potrebbero andare ad aggiungersi Sanabria, Goldaniga, lo stesso Mattia Perin.
Ha vinto tutti gli scontri diretti per la salvezza, è stato fatto volare in aria dai calciatori all’ultima giornata di campionato per festeggiarlo e, soprattutto, per ringraziarlo. Non è servito: il giorno dopo la salvezza era già in discussione senza neanche confrontarsi su quanto accaduto dopo la ripresa e sui risultati negativi.
Ha aspettato in silenzio, non ha ringraziato subito a fine campionato ma ha atteso fino al tweet della società di mercoledì 26 agosto con telefonata, auspichiamo, fatta con qualche ora di precedenza.
Neanche il suo procuratore Giuffrida, dopo aver preso la delega di tutela quando ha firmato con il Genoa lo scorso dicembre, avrà alzato un dito con Preziosi, pur avendo una corsia preferenziale aperta durante il calciomercato.
Nicola, tradito dal Covid e dalla sosta, dopo aver battuto il Milan a domicilio, con lo stop posticipato di due giornate avrebbe salvato il Genoa con parecchie giornate d’anticipo. Come succede nel dare e fare le pagelle a fine gara, non è stato giudicato per quello fatto dall’ultimo posto in classifica ma solo per i risultati post-Covid dimenticandosi degli infortuni subiti dai titolari e della mancanza di feeling con il gol dei presunti centravanti.
Didi ha lasciato un segno indelebile per il suo lato umano, sempre a prendersi colpe che non c’entravano nulla sul preparare allenamenti e partite. E ha dovuto trincerarsi per forza di cose all’interno del Signorini, specialmente dopo lo scoppio del Covid, dispiaciuto di non poter aprire la porte alla gente e mostrare quello che era il suo lavoro quotidiano. Perché il lavoro di campo va inteso come “la più grande garanzia” per ottenere e raggiungere un obiettivo, aveva detto al suo primo allenamento a Pegli mentre di corsa si dirigeva sul rettangolo verde. Un uomo e un tecnico tanto onesto, quanto pragmatico e attento al peso delle parole.
È tornato a salutare la Gradinata Nord alla fine di Genoa-Verona con suo figlio Alessandro, in una foto in braccio, riproducendo quanto successe da calciatore. Quella maglia Davide Nicola voleva e sperava di esibirla alla Nord, non desolatamente vuota, se il suo Genoa si fosse salvato. A fine partita la t-shirt aveva creato tante domande e nessuna risposta. Tutto inutile, una sola ragione ha detto: “un ringraziamento per la mia gente anche se non l’ho avuta vicino per colpa del Covid, un abbraccio ad Alessandro come avviene da quel maledetto 2014 tutti i giorni da parte sua, di sua moglie Laura e i suoi quattro figli”.
Didi, meglio così. Riconfermato a furor di popolo avresti fatto la fine di qualche altro tecnico rossoblu, anche se i risultati ti avessero dovuto dare ragione.
Ciao Nicola
Di Lino Marmorato, Alessio Semino, Lorenzo Semino