Solita affabilità e cordialità, senza peli sulla lingua, quella di Marco Pellegri. Ci risponde al telefono in una fresca mattinata di zona arancione in quel di Genova: lo abbiamo disturbato per domandargli come abbia vissuto, ieri sera, l’esordio del figlio Pietro Pellegri in Nazionale azzurra, arrivato dopo un paio di stagioni molto travagliate dal punto di vista fisico. Senza né video né audio, solo a parole ci ha voluto esternare la propria gioia e felicità: quella di un papà che ha visto un figlio esordire prima con la maglia del club per cui fa il tifo tutta la famiglia, poi con la maglia azzurra vestita negli ultimi anni da decine di calciatori appartenenti alla storia del Grifone.
Ieri sera l’esordio di Pietro Pellegri in Nazionale maggiore. Marco, ci racconti un po’ la gioia del Pellegri papà?
“Un’emozione grandissima che va ad aggiungersi ad altre emozioni che Pietro mi ha dato in ambiente sportivo, oltre che come persona al di fuori del calcio. Sono emozioni forti. La prima fu l’esordio a Torino, in quel dicembre freddo, con l’esordio in Serie A: perché la prima, e perché era il sogno di un Genoano che vedeva esordire il proprio figlio Genoano, di famiglia genoana, con la maglia rossoblu. Poi ci fu il gol a Roma nella gara d’addio di Totti, e ancora la doppietta sotto la Nord. Ieri, infine, un’altra grande emozione. Pietro veniva da due anni di grandi sofferenze e per il genere di persona che è, che vuole sempre forzare e non è mai contenta, è sempre ricaduto e ha avuto infortuni che si sono susseguiti. Vederlo adesso che sta bene, che esordisce in Nazionale e sta pian piano trovando continuità anche nel suo club di appartenenza, giocando peraltro bene ed entrando ogni volta, è un’altra emozione fortissima che va ad aggiungersi alle precedenti”.
I due anni che hai menzionato sono stati complicati per Pietro. Ci racconti un po’ il suo percorso sino a ieri sera, con l’esordio in Nazionale maggiore dopo annate faticose.
“Sì, annate faticose. Lo sono state perché quando è stato venduto al Monaco, è arrivato con un principio di pubalgia. Si è deciso di operarlo in Francia, c’è stato un percorso di recupero di vari mesi e poi è rientrato. Ma proprio per il discorso che ha sempre forzato il recupero, ha poi avuto un altro infortunio muscolare, uno strappo, sempre nella gamba. Quindi è stato operato, e quando si aggiungono altri 4/5 mesi di recupero e tu fai tutto per recuperare, ci sono altri piccoli infortuni come stiramenti o fastidi. Pietro ha dovuto trovare, insomma, un suo equilibrio fisico. Un equilibrio che ne ha determinato anche una crescita. So quello che lui ha fatto quotidianamente tra lavoro e fisioterapia: ha avuto forza d’animo per essere un ragazzo di 17 anni (che oggi ne ha 19). Mi sento di dire che ciò che arriva adesso se lo merita tutto”.
Come avete vissuto l’esordio in azzurro di Pietro ieri sera, visti anche i tempi che stimo vivendo?
“Io ero a casa, da solo. Quando guardo Pietro giocare, preferiscono comunque essere da solo. Allo stadio non puoi essendo con altre persone. Anche le partite del Monaco, che oggi ha chiuso tutto, le vedo in televisione. Da solo. Non so spiegarti la motivazione, ma è così. Speravo entrasse e quando al 70′ è successo è stata una cosa forte. Forte perché so com’è fatto lui. Gioca da ormai due anni all’estero, pur essendo a due ore da Genova, e vive all’estero, con stranieri come compagni di squadra: per questo immagino cosa sia significato per lui entrare in uno spogliatoio dove si parla di nuovo italiano, vestendo la maglia col Tricolore. Pietro è molto attaccato a questi valori. Per lui, e come penso per altri giocatori che giocano fuori come el Shaarawy o Grifo, vestire la maglia azzurra è la più grande soddisfazione”.