Prosegue anche questa settimana la nostra rubrica “Parte Destra” incentrata sulla situazione delle dieci squadra dall’undicesimo posto in giù, quelle che troppo spesso spariscono dai radar nazionali. Questa volta abbiamo contattato telefonicamente il tecnico originario di Matera, Luigi De Canio, 58 presenze sulla panchina rossoblu e una salvezza sofferta come quella del maggio 2013 e una conoscenza diretta del modo Genoa
“Fra qualche settimana dovrai cambiare titolo alla trasmissione perché il Genoa passa dalla parte sinistra: dopo tanti anni toccherà parlare della parte sinistra” esordisce con un sorriso De Canio, che poi spiega come veda lui la parte destra della classifica, così piena di squadre che, contro pronostico, ora lottano per la salvezza o devono allontanarsi dalle cosiddette “zone calde”. Ma cosa ci dice questa particolare classifica dall’undicesimo posto in giù?
“In questa parte destra si vede quella è la realtà del nostro calcio oggi: squadre sempre più blasonate continuano a fare parte di questa parte destra. Che ci siano Benevento, Crotone, Spezia è anche logico essendo neopromosse, ma la novità è che ci siano costantemente invischiate in questa parte – e si fa fatica a capire come possano uscirne – squadre come Torino, Cagliari, Fiorentina, partite senza dubbio con altre ambizioni. È un dato che deve fare riflettere: se ci fossero una maggiore capacità di riflessione e una maggiore competenza nel fare le squadre, nello scegliere calciatori e allenatori in funziona di una competenza specifica o di una capacità di adattamento alle situazioni, probabilmente tante squadre, perlomeno quelle blasonate, eviterebbero questa situazione. Il Crotone, ad esempio, sta facendo una bella figura, pur essendo ultimo: vedo una squadra organizzata, che gioca bene, secondo quelle che sono le sue possibilità. Si capisce che il parco giocatori non è di prim’ordine, ma ha alcuni giocatori giovani bravi. È anche una scelta politica della società che coniuga bene aspetto tecnico ed economico. Poi però ci sono altre squadre che, a fronte di impegni economici importanti, hanno una classifica assolutamente deficitaria”.
Ci sono però anche allenatori come Di Francesco o Giampaolo, senza alcuna critica, che non riescono dentro queste squadre a inserire il loro gioco, una specie di tiki-taka nuovo ed originale. Come mai non ci riescono?
“Questo non è un calcio nuovo. Tu hai forse la mia età o qualche anno in più e da sempre vivi nel calcio, ne sei un amante, e ricorderai che c’era un certo Liedholm che nella Roma e nel Milan credo abbia giocato in questo modo già negli anni Ottanta, quando con la Roma del presidente Viola contrastava la Juventus. Quando nel Milan, poi, si inventò Di Bartolomei difensore centrale. Credo che dovremmo avere la memoria un po’ più lunga, altrimenti diamo per nuovo quello che invece nella storia del calcio c’è da sempre, come la zona. Sono piuttosto principi e concetti che si adeguano a quello che è il cambiamento del tempo: i palloni di natura diversa, le scarpe, le superfici. Il gioco del calcio è sviluppato prevalentemente dalle qualità dei calciatori. Tutto il resto è un contorno”.
Come si fa a passare dal Genoa di Maran a quello di Ballardini nel giro di poche ore?
“Questo è l’esempio di quello che dicevo prima: con un’attenta riflessione ci si rende conto che il nuovo lo porta Ballardini perché con la sua assoluta tranquillità, serenità e normalità, ripristina certe situazioni e il Genoa sembra completamente un’altra squadra in pochissimo tempo. E allora la risposta che tanti ricercano è proprio in questa capacità di saper riconoscere la competenza”.