Riparte il calcio, con una carovana di problemi mica da ridere, e riaprono gli stadi. Non ci sono più manifestazioni dove gli spettatori non possano fare ritorno sugli spalti, ed è cosa nota già dallo scorso giugno, col via agli Europei. O meglio, ci si era convinti che alcune percentuali “bulgare” di tifosi viste a EURO 2020 potessero essere ripetibili. Non sarà ovunque così. Già la competizione continentale aveva fatto capire, complice la sua formula itinerante, che ogni nazione e ogni istituzione locale avrebbero potuto muoversi in maniera differente.
Non faranno eccezione i campionati nazionali. In questi ultimi giorni di qualificazioni alla fase finale di Champions ed Europa League si è visto letteralmente di tutto: stadi semivuoti contro stadi al massimo (o quasi) della capienza. Stadi in cui per accedere veniva richiesto il Green Pass, stadi che invece richiedevano l’attestato, ma pure un tampone nelle precedenti 48 ore. Chiaramente la situazione epidemiologica non è uguale ad ogni latitudine e ogni singola istituzione può prendere decisioni restrittive, tuttavia è inutile girarci intorno: neppure il calcio, come la politica, ha saputo trovare un’intesa comune.
Lo stadio è da sempre, storicamente, un luogo di forte aggregazione. È il “luogo” per eccellenza nel quale il calcio trova tutto il suo fascino, la sua forza, la sua vitalità. L’ultima stagione e mezza, per chi fra gli addetti ai lavori ha avuto la possibilità di accedere allo stadio, ha avuto un gusto agrodolce. Mancava sempre qualcosa, e quel “qualcosa” erano i tifosi.
Ha fatto sorridere un po’ tutti che della loro assenza ci si sia accorti solo adesso, quando un silenzio agghiacciante ha iniziato a solcare gli stadi di tutto il mondo. Stupisce altresì che i botteghini siano diventati una voce di bilancio inderogabile proprio quando il calcio è con l’acqua alla gola più che altro per il fatto che ha fatto delle plusvalenze e dei pagherò un a costante. Una preoccupante costante. L’anima del calcio porta dentro di sé un concetto più ampio e alto: senza tifosi il calcio non esisterebbe. Non ci sarebbero le emozioni che tutti percepiamo, quelle che ora mancano da troppo tempo, e non ci sarebbero neppure gli spettacoli di colori e tifo che le televisioni, l’appiglio a cui il calcio ha dovuto aggrapparsi, possono trasmettere in giro per il mondo.
Chi sorride, oggi, sono i tifosi di diversi campionati in Europa. Una larga maggioranza, a dire il vero, perché sono ben 11 i Paesi che permettono l’accesso allo stadio al 100% della capienza (in larga parte col Green Pass) e senza scomodare giochi da tavola. Parliamo di Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Inghilterra, Israele, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca, Spagna e Svizzera. Certo, esistono delle possibilità di ridurre la capienza laddove il Covid sia nuovamente in espansione, ma la decisione è delegata su scala territoriale e regionale. Una forma di decentramento amministrativo, ma applicato al mondo del calcio. Abbiamo già immagini emblematiche, basti pensare al sold-out per la presentazione di Leo Messi al Parco dei Principi prima di PSG-Strasburgo.
A braccetto con Germania, Olanda e Turchia (questa sera Trabzonspor-Roma sarà aperta a soli 20mila spettatori, ndr), la Serie A e la Serie B consentiranno per il momento un accesso solo limitato negli impianti sportivi pari al 50%, sempre col Green Pass come condizione essenziale da presentare all’ingresso dopo essersi misurati la temperatura corporea. La richiesta era stata di tornare subito al 100%, poi gradualmente si è andati a scendere fino a trovarsi a metà strada tra il 25% proposto dal Governo e il 75% di cui si era fatta portavoce Valentina Vezzali prima di partire per l’Olimpiade di Tokyo (la stessa percentuale consentita dai campionati in Grecia e Romania).
Chiudono il cerchio nuove percentuali, ancora diverse: c’è il 33% del Portogallo (ieri sera Benfica -PSV si è giocata di fronte a 19mila spettatori allo Stadio “Da Luz”, che avrebbe una capienza di 64mila), ma anche il caso di campionati come quello serbo o ungherese, dove le curve e le tifoserie organizzate sono tornate ai fasti e ai colori del pre-Covid. Le immagini parlano chiaro, che passino in televisione o sui social.
Insomma, esiste un Europa del 100% e un’Europa più cauta. In generale, però, la volontà e di un ritorno alla normalità. Chissà se un analogo ritorno alla normalità lo vivranno anche i post-partita. Ancora non si è capito se le interviste dopogara saranno ancora accessibili ai soli bordocampisti e alle sole tv o se, come ci si augura, si potrà intervenire in conferenza stampa. Ogni società potrebbe scegliere proprie formule e modalità. Resta il fatto che le linee guida emanate lo scorso 8 luglio dalla FIGC ricalcano in larghissima parte quanto già previsto per la passata stagione: tre gruppi ben distinti (squadra e staff; corpo arbitrale; addetti ai lavori differenti da squadre e arbitri) che dovranno avere i minori contatti possibile: prima, dopo, durante la gara. Solo l’inizio della stagione dirà quale sarà la deriva. Il ritorno alla normalità di cui sopra, comunque, sembra essere ben lontano dal realizzarsi.