Grazie Mourinho! Grazie per la tua presa di posizione della scorsa settimana sul calcio blindato. Grazie per aver difeso la categoria dei giornalisti, più che tante altre associazioni.
Mourinho con la sua specialità del “rumore dei nemici” per difendere la propria squadra ha confermato di essere un inarrivabile maestro di comunicazione: sa come si fa per attirare l’attenzione sulla propria società e formazione, e soprattutto sul proprio lavoro.
Dopo l’ultimo derby della Capitale, geniale è stata la presa di posizione contro la struttura comunicativa della Lazio. Ho perso il derby? Bene, me la prendo con l’addetto stampa che non consente domande dirette, ma solo inviate per WhatsApp.
E ha ragione perché con domande tecniche e tattiche faccia a faccia si possono risolvere i giudizi postgara e non creare carceri in aria da parte degli addetti ai lavori. Non tanto per contestare, ma per capire e approfondire certe dichiarazioni dei Mister.
La presa di posizione dell’uomo di Setubal ha aperto un altro scenario che non può non piacere a coloro ai quali piace il calcio e vorrebbe sempre conoscere parole, sentimenti, spiegazioni di tecnico e giocatori. Le domande saranno anche scomode, potrebbero pure scatenare scintille, ma tutto sarebbe chiarito dopo un’ora finita la gara.
Le fredde ricostruzioni, prima e dopo gara, senza contradditorio davanti ai microfoni e ai taccuini dei giovani giornalisti, condite da qualche messaggio social dei protagonisti, non portano da nessuna parte. Il Covid ha creato tanti problemi, ma per il calcio ne ha eliminati tanti, uno sicuramente il rapporto con la stampa specializzata e non da gossip.
Nessuno chiede che non sia favorita la stampa cartacea, nessuno chiede che la stampa cartacea non faccia il suo duro percorso vista la crisi della vendita dei giornali, nessuno chiede che la nouvelle schiera di giovanotti delle tv che hanno incassato gli abbonamenti siano come “Bisteccone” Galeazzi. Viva la gioventù, non è colpa loro essere mandati allo sbaraglio senza una scuola e neanche un consiglio o se qualcuno è parente d’arte, se non preveniente dal Fantacalcio.
Si chiede solamente rispetto per coloro che sono testate giornalistiche certificate, anche sul web, e che magari hanno pagato assicurazioni da presentare poi alla Lega investendo euro con fatica. Si chiede che possano fare il loro lavoro, a parte da quello cartaceo e con le dovute distanze, mascherine, microfoni direzionali e, come succedeva nel passato, dare gli orari di pubblicazioni scritte e registrate a voce (non video perché da sempre è non consentito).
La speranza è che il mondo del calcio italiano, sempre di più nelle mani degli americani, che di mass media qualcosa capiscono, possa cambiare. Non poter fare una intervista prima e dopo la partita o, ancor di più, non potere vedere un allenamento con la scusa del Covid, ma con gli stadi quasi al completo degli spettatori, non è più plausibile ed è diventato come “rubare la Gioconda al Louvre“, scrive una collega sempre in giro per i campi.
Basta con il pallone solo in TV e in poltrona, compresi gli addetti ai lavori: vedere una partita dal vivo o in televisione sono cose diverse da giudicare.
E quindi, ancora una volta, grazie Mourinho. Questa presa di posizione dovrebbero prenderla anche gli altri tecnici. Comunicare significa attivare un procedimento di azione sociale.
Il sogno, l’interesse, la passione, la voglia di capire cosa ci sia dentro il calcio e raccontare nel modo giusto come si fa calcio, perché gioca Tizio e perché non Caio, dipende molto dalla comunicazione sportiva. Raccontare le vicende quotidiane e non farle arrivare all’esterno se non tramite spifferi o per convenienza non è comunicazione.
I diritti tv, poi, sono il Bancomat del calcio ma non possono essere le carceri del gioco più bello del mondo. Un gioco che perde audience ogni giorno.
Ormai nel mondo tutti condividono messaggi e foto per eccellenza e il calcio ha levato la parola agli addetti qualificati e ai protagonisti. Anche i bambini fanno fatica a riconoscere i calciatori se li incontrano per strada.