In questo mondo dove impera il “no” su tutto, ieri si è consumato il “No Genoa”. E si è consumato per quello che successo al termine della partita contro l’Empoli.
Cercheremo di stare ai fatti. Il riferirne subito significa dimenticarli presto, anche se con il Vecchio Balordo di mezzo si potrebbe far fatica. Potrebbe essere un trucco psicologico, ma di efficacia ormai collaudata. Tanto a chi avventarsi? Così stanno le cose, così vanno e andranno. Due settimane di sosta che non potranno fare miracoli. Il problema al Genoa non sarà l’allenatore, ma la squadra che fino a gennaio sarà quella.
Ballardini con dirigenza americana quasi al completo e quella italiana al Castellani di Empoli è stato licenziato in TV. In conferenza stampa con i media in presenza non si è capito se lo sapeva già vista la reazione dopo due domande legittime, ma è apparso arrabbiato con risposte, dure e taglienti:
“Siamo consapevoli che ci sono davvero tante difficoltà da superare. Difficoltà che voi, o una parte di voi, nasconde. Difficoltà che sono evidenti. Noi le conosciamo e ci conviviamo quotidianamente, qualcuno di voi evidentemente non ci sente e non ci vede“. Conferenza stampa durata non più di 5 minuti con un pugno finale sul tavolo senza rispondere ad altre domande.
Balla puoi avere anche ragione perché il tuo unico mal di pancia pubblico si era fatto fatto sentire solo a Neustift, la seconda settimana di preparazione, ed è stato inascoltato dai media e dalla società.
Dopo si è fatto un lockdown calcistico: durante la stagione sempre a porte chiuse, senza una gara amichevole neppure con squadre di terza categoria o con la Primavera, ed è stato difficile capire quello che succedeva e quale era la forza della rosa a disposizione. A dire il vero, nelle gare ufficiali la verità è venuta a galla un sacco di volte: non latitava solo la qualità, ma latitavano anche la tecnica e i fondamentali per giocare in Serie A in qualche elemento. I cronisti lo hanno riportato e le pagelle anche.
Dispiace solo che la sofferenza di Ballardini qualcuno l’abbia fatta durare così tanto. L’impressione era che la sua conferma a termine dopo la scorsa stagione fosse stata fatta controvoglia. Se c’era bisogno di una svolta causata da antipatie, bisognava farla almeno ad inizio campionato o dopo la partita di Salerno per dare tempo a chi subentrava di non mettersi al vaglio di un calendario difficile dopo la sosta. Juric insegna quando sostituì Ballardini…
Arriva Shevchenko, ormai libero non essendo più il CT dell’Ucraina. È già in viaggio in questo momento verso Genova. Il contatto non c’è stato da ieri, a Milano la sua figura era già presente da alcuni giorni, dopo i tentennamenti di Pirlo. Contattato dalla Spagna anche Hernan Crespo.
Sheva sponsorizzato difficilmente solo dagli americani, ma anche da Galliani in particolare. È un personaggio di spessore ed essendo uno studioso di calcio da quando sarà stato contattato – meglio ribadire, non da ieri – avrà studiato il Vecchio Balordo. L’allenatore ucraino firmerà al suo arrivo e per dare l’ufficialità aspettiamo come sempre il comunicato del Genoa.
Arriva con Tassotti, uomo di campo e buon allenatore che ha scelto di fare il secondo, e con un figlio della dinastia Maldera, tattico e match analyst che ieri è stato colpito da un lutto per la perdita di un altro Maldera (Gino, ndr) salito al cielo.
Shevchenko, un neo importante, non è un esperto o un mestierante della zona salvezza della Serie A. Nessuno però mette in dubbio le qualità dell’ucraino. È molto preparato e dovrà essere molto motivato non solo dalle garanzie che ha avuto, che saranno state tante e corpose e dovranno essere mantenute.
Il problema sarà arrivare fino al 1° gennaio 2022. L’operazione più difficile di sarà quella di calarsi nell’ambiente genoano non solo sul campo, dopo aver lavorato da giocatore con il Milan di Berlusconi e Galliani e il Chelsea di Abramovich: là chiedeva una cosa e il management subito cercava di soddisfare le sue richieste.
Nel frattempo è diventato ufficiale l’addio di mister Ballardini. Ciao Zio Balla, grazie per quello che hai fatto negli ultimi dieci anni per il Vecchio Balordo, che senza i tuoi quattro inserimenti in corsa forse non avrebbe neppure mantenuto la categoria. Tanti messaggi di saluto e anche di contentezza per il fatto che resterai ancora sotto contratto con il Genoa almeno fino al prossimo giugno.
Dopo aver visto la strategia di Ballardini nel primo tempo, si è visto un 3-5-2 funzionante molto bene su quattro linee, con calciatori giusti al posto giusto e ognuno con a disposizione una zona di campo ottimale dove mettere in difficoltà la tattica di Andreazzoli. Un 3-5-2 che cambiava nelle due fasi di gioco con l’uso del trequartista.
Il rovescio nel secondo tempo: oltre ai quattro cambi empolesi ad inizio ripresa e al raddoppio avuto e mancato per chiudere la gara, si è visto il calo fisico dei rossoblu in grigio che erano stati protagonisti. Questa è stata la chiave del passo da gambero genoano. Caicedo è stato quasi uno spettatore per buona parte della gara, chissà quando andrà in forma e potrà giocare una gara per 90 minuti.
Balla accusato di aver fatto i cambi in ritardo, dimenticandosi che doveva fare i conti con la panchina, come aveva sempre detto: è passato ad un Genoa d’attacco con giocatori fuori ruolo ed è stato premiato dal primo gol in Serie A di Bianchi. Non si meritava di perdere, ma non è riuscito a vincere. C’è da chiedersi: anche se l’avesse fatto il suo destino era già scontato?
Bravo Andreazzoli a far condividere a tutti i giocatori le proprie idee di gioco. Pragmatico, ha dato subito una fisionomia alla squadra composta da giovani. Il tecnico a Neustift diceva: “il tempo è necessario per i dettagli, per dare una logica alla squadra ne serve meno“.
Altro principio fuori dal prato verde da trasmettere ai calciatori è stato quello, da sempre, che la squadra può vincere a Torino con la Juventus e fare risultato con il Roccapepe. Deve essere la stessa cosa. L’Empoli ha sedici punti in classifica perché quella mentalità il “nonno” in panchina del campionato è riuscito a costruirla.
Bravo anche Pairetto, ed è una delle prime volte che possiamo scriverlo.