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I racconti dei Genoani della Rametta con Franco Venturelli. Il primo episodio

Oggi usciamo con la prima puntata dei Genoani della Rametta. Il nostro interlocutore privilegiato è Franco Venturelli, in arte “Abbadie“, che ci ha raccontato come nacque questo sodalizio di tifosi rossoblu. Un tassello dei tanti che compongono il grandissimo e ultracentenario mosaico della storia del Genoa.

Cos’era la Rametta? Quando ero bambino, era un gruppo di persone che vedevo qui a De Ferrari alla domenica. Erano i primi anni del Dopoguerra e si passavano le domeniche in centro, a guardare le vetrine. Era una gita così a quei tempi. Tante volte passavamo, coi miei genitori, da De Ferrari e vedevo questo gruppo, di cento persone, che discutevano animatamente. Avrei voluto andare lì, ma mi tiravano via. Qualche anno dopo ho saputo che lì era il punto dove si riunivano i Genoani, si vedevano tutti i giorni dopo l’orario di lavoro per parlare di Genoa. A volte, quando c’erano fatti eclatanti, si parlava anche di altro, ma il Genoa era un tema fondamentale. Alla domenica mattina ci vedevamo alle 11 per commentare le formazioni date dai giornali in vista della partita del pomeriggio. E finita la partita, a piedi, venivamo da Marassi sino a De Ferrari perché c’erano i commenti del post-partita. Era un parlare del Genoa prima, durante e dopo. Tutta la settimana. Di bello vi era che ci conoscevamo, si stringevano amicizie importanti. E si litigava anche, di brutto, ma era sempre qualcosa che si ricomponeva: finita la lite, l’amicizia continuava”. 

Qui ho conosciuto tantissimi Genoani, ma veramente grandissimi – spiega Venturelli con la voce quasi un po’ commossa – i quali mi hanno trasmesso la passione per il Genoa. La avevo già per nascita perché la mia famiglia era genoana, lo erano tutti i parenti, quindi sono nato genoano. Dovessi dire quando lo sono diventato non lo saprei, ma perché probabilmente sono nato genoano. La frequentazione della Rametta la ho cominciata da subito, non appena potevo venire in centro da solo a 13/14 anni. A metà degli anni Cinquanta c’erano ancora tanti tifosi che avevano visto quello degli anni Venti, roba di trent’anni prima. Un po’ come oggi parlassimo del Genoa di Skhuravy e Aguilera: per noi che lo abbiamo visto sembra ieri. All’epoca c’erano invece quei Genoani che, pur non parlando molto del Genoa degli anni Venti, si limitavano a dire che il Genoa di quegli anni era un’altra cosa”. 

“A volte, per scherzare, ci dicevano: “ma perché siete Genoani voi? Perché noi abbiamo visto vincere degli scudetti, ma voi?“. All’epoca non avevo la prontezza per dargli una certa risposta, ma potrei dargliela adesso dicendo che noi eravamo Genoani perché frequentavamo dei Genoani come loro, che ci hanno trasmesso proprio lo spirito del Genoa. Ad un certo punto, quando ormai ero adulto, mi è venuta una curiosità: ma quando è nata la Rametta? Nessuno lo sapeva, manco i più anziani. Eravamo ormai negli anni Settanta. Quindi gli anziani mi dicevano: “Quanto avevo 10 anni, negli anni Trenta, c’era già”. A questo punto ho comunicato a cercare dove potevo fin quando, parlandone con Piero Campodonico, quello dell’Inno del Genoa, glielo chiesi. Lui mi disse: “Guarda, ho uno scritto di Cesare Viazzi sulla Rametta”. Quelle fotocopie le conservo come una reliquia, ma mi fa piacere parlarne. Altrimenti rimangono nel cassetto. Parlandone, invece, magari c’è qualcuno che se le ricorda e diventa bello parlarne”. E il racconto continuerà


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