Siamo qui, siamo noi, siamo tre: Alarcòn, Aballay e Boyè“. Dopo il primo episodio di una settimana fa, torniamo con Franco Venturelli ad ascoltare quelli che sono i racconti che legano la storia dei Genoani della Rametta a quella del Vecchio Balordo. E lo facciamo parlando della filastrocca riportata all’inizio di questo articolo, che segnò il primo Dopoguerra calcistico rossoblu.

“Era una filastrocca che mi cantava sempre una mia zia, Genoanissima, che lavorava in un negozio di lana in via XX Settembre e che cercava di vendere gomitoli rossoblu a tutti perché era una Genoana sfegatata – esordisce Franco Venturelli – Siccome amo andare all’origine delle cose, quando cinquant’anni dopo andai a Buenos Aires, andai in libreria per cercare libri di calcio argentino per vedere se trovavo qualcosa su questi tre. Qui nel Genoa sono stati considerati tra i giocatori che hanno fallito. Boyè, in realtà, lo avevano capito tutti che era un fuoriclasse, in Sudamerica lo chiamavano l’Atomico. Erano i tempi della bomba atomica e tutti i discorsi la avevano al centro. L’unica persona per la quale avevano usato questo aggettivo era stata la grandissima Rita Hayworth nel film “Gilda”, che ebbe un successo clamoroso e reclamizzavano con “Gilda l’atomica”.

“Quando arrivò Boyè, lo chiamarono Boyè l’atomico. Era soprattutto un’ala, ma era ttaccante: non era un mezzo attaccante ma un attaccante intero. Fece dodici gol in diciotto partite, aveva un tiro formidabile. Poi se ne andò, nella famosa “fuga di Boyè”. Quando il Genoa andò a giocare a Roma, lui si fece i biglietti per lui, la moglie e la mamma (era a Genova con queste altre due persone) e a fine partita se ne scappò all’aeroporto e tornò giù, facendosi dare prima tutto il re-ingaggio che aveva pattuito col Genoa. E lì non capisco perché i dirigenti del Genoa glielo avessero dato e non avessero sospettato del perché lo volesse subito. Lui, con tutti i soldi in tasca, scappò. Ma era un grande e si era capito”.

“Gli altri due, però, non erano da meno – prosegue Venturelli – Erano buoni come lui. Aballay era un centravanti,  Alarcòn una mezzala sinistra che nel 1944 aveva vinto il campionato in Argentina. Non era un “frillo”, ma un giocatore da grande squadra. In quanto ad Aballay – racconta la leggenda, io ero bambino e non leggevo i giornali come poi da grande – aveva colpito una cosa come 18 pali. Mettiamo anche abbiano esagerato, ma di certo non fu fortunato al Genoa. Avesse fatto dei gol la sua fama sarebbe stata diversa. Fatto sta che uno è scappato, gli altri due li hanno considerati mediocri e il Genoa li perse tutti e tre nel giro di un campionato”. 


I racconti dei Genoani della Rametta con Franco Venturelli. Il primo episodio