La stagione del Genoa si è chiusa con la promozione in Serie A un solo anno dopo la retrocessione, una circostanza non così frequente in Italia vista la difficoltà del campionato cadetto. Il Genoa, come tutte le altre squadre, queste difficoltà le ha avute, le ha vissute, le ha affrontate e le ha superate con merito.
Il Genoa, dalla prima gara di Ferragosto a Venezia, non è mai sceso sotto l’ottavo posto. In altre parole, è stato in zona playoff per tutta la stagione, con l’ottava posizione toccata dopo la sesta giornata e la vittoria sul Modena. È stato primo per due giornate (1° e 10°), secondo per metà stagione (19 partite, di cui tutte le ultime diciassette), terzo dal dodicesimo al ventunesimo turno con una sola discesa al quarto posto dopo il pareggio di Ascoli.
Per tracciare un bilancio della stagione è giusto partire da questi numeri che certificano anche la continuità della formazione rossoblu, che ha messo il pilota automatico dall’arrivo di Gilardino, ma che un input al campionato aveva provato a darlo già con Blessin. Per fare un pagellone generale dell’annata 2022/2023, che rimarrà nella storia per la coesione tra tifo e società, tra squadra e pubblico, si deve partire dall’estate. Il merito di Blessin è stato quello di lavorare moltissimo, fin da Bad Häring, sul team building, ossia sulla creazione di una forte coesione di squadra. I risultati di novembre hanno rischiato di minarla, ma la società ha avuto la prontezza di dare fiducia a Gilardino, che già buonissime cose aveva fatto vedere con la Primavera.
È stata materia del tecnico tedesco preparare la squadra da un punto di vista fisico in estate e amalgamare chi già c’era con chi sarebbe arrivato dal mercato estivo, dando fin dall’inizio fiducia ad alcuni elementi molto giovani, come Dragusin, cresciuto esponenzialmente in corso di stagione pur avendo vent’anni e capace di segnare anche quattro reti, tutte di testa.
L’equivoco avuto da Blessin è stato quello tattico: nel tentativo di trovare l’assetto giusto, ha scelto la difesa a quattro e provato a gestire un centrocampo dove Frendrup, il tuttocampista del Genoa assieme a Jagiello, ha tirato la carretta per mesi. Il dato più eclatante delle prime fasi della stagione è stato quello dei blackout negli ultimi minuti, costati un percorso casalingo che nelle prime sette partite al Ferraris avrebbe portato soli 8 punti. Un ruolino compensato dal percorso esterno, fatto di 15 punti nelle prime ottonare esterne.
Questa è la prima parte di stagione, quella che ha preceduto la sconfitta interna col Cittadella, l’unica della stagione davanti al proprio pubblico. Il Genoa era smarrito in quella fase del campionato e un cambio di guida tecnica è stato inevitabile. La società in quella fase ha guardato a diversi profili. In prima battuta guardò ad Andreazzoli (poi andato a Terni), poi anche a Bjelica (oggi al Trabzonspor). Alla fine ha puntato su Gilardino, che all’epoca dei fatti e dell’esonero di Blessin stava guidando una Primavera ancora imbattuta e prima da sei turni di fila nel proprio girone.
La società ha fatto all-in sul tecnico di Biella e ha avuto ragione. Nel calcio bisogna anche scegliere e proseguire sulla strada scelta tutti compatti, e questa stagione è stata un insegnamento in tal senso. Ad evidenziarlo Gilardino con quel che ha fatto, un capolavoro sotto gli occhi di tutti. C’è chi dirà che era facile con la rosa e il monte ingaggi a disposizione, ma sarebbe riduttivo pensarla così. Gilardino non ha avuto un compito facile nel gestire una rosa così ampia che rischiava di impantanarsi e perdere il treno promozione diretta.
Sotto la sua gestione è stato ritrovato quasi a pieno regime Sturaro, uno di quei giocatori che ci si rende conto quando non sono in campo, ma si è ridata anche continuità alle buonissime prestazioni di baluardi difensivi come Bani e Strootman, uno di quei giocatori che hanno fatto spesso dire ai commentatori quanto poco avesse a che spartire con la Serie B. Gilardino, anche grazie al supporto di questi calciatori, quelli di maggiore esperienza e carisma, ha portato prima di tutto quello che da settimane mancava: autostima e consapevolezza dei propri mezzi. Lo testimoniano le prime partite della sua gestione.
Le prime sei partite di Gilardino, ufficialmente arrivato ad interim, sono la chiave di volta della stagione del Genoa. Il tecnico di Biella sfida, nell’ordine: Südtirol, Ascoli, Frosinone, Bari, Venezia e Benevento. Ne vince cinque e ne pareggia una. La gara del San Nicola è quella che farà dire al Genoa: “noi ci siamo!“. Lo dicono i sedici punti in sei partite. Gilardino prende un Genoa terzo, ma fortemente distanziato dalle prime due posizioni, e raddrizza la rotta. Le turbolenze spariscono, il volo si assesta a velocità di crociera. Dopo questo filotto di gare è sempre terzo, ma i punti di distacco dalla seconda sono passati da 6 a 0. La vittoria di Benevento è quella della svolta, almeno per chi sta scrivendo. Non solo per l’aggancio alla Reggina a quota 39 punti, ma anche per una lunga serie di altri motivi.
Emerge intanto la forza di un gruppo rigenerato da Gilardino nell’arco di un mese e poco più. L’immagine è Puscas, allo scadere, che incorna da subentrante un pallone su cross di Sabelli e lo schiaccia in porta per il 2-1 finale. Un successo pesantissimo in una gara dove si era sprecato tanto per raddoppiare.
Al “Vigorito” si vede il lavoro di Gilardino sotto l’aspetto tattico, quel lavoro portato avanti nella pausa per le nazionali che aveva preceduto Genoa-Venezia. C’è il passaggio convinto e deciso al 3-5-2. C’è un Coda ritrovato, al secondo gol consecutivo col mercato di gennaio ancora aperto che continua ad avvicinarlo ora ad una, ora ad un’altra squadra. E soprattutto ci sono tre giocatori che salgono in cattedra e non ci si leveranno più sino alla fine. Uno è Gudmundsson, che fa la seconda punta con licenza di diventare mezzala e andare a prendersi il pallone libero. L’islandese è ancora più libero di agire in un modulo congeniale e mister Gilardino gli ritaglia la veste migliore per mettere in mostra le sue doti di controllo orientato, rapidità e visione di gioco.
Il secondo è Vogliacco. Prima di Benevento ha giocato soltanto due gare dal primo minuto: a Terni (complice la squalifica di Bani) e a Perugia. Poi solo spezzoni. Gilardino ci lavora, ne coglie le doti in fase difensiva di di impostazione e in uscita palla al piede dalla difesa, e da Benevento non ne perde più una. “È un giocatore diverso da quelli che ho nel reparto difensivo. È tecnico, ha qualità nel palleggio, vede spazi e giocate“ dichiara Gilardino nella conferenza stampa post Benevento-Genoa. Ne gioca tredici da titolare e una da subentrante, saltando solamente il ritorno col Perugia per squalifica. Diventa un baluardo, uno di quei giocatori che hanno saputo aspettare e si sono ritagliati lo spazio che meritano. Solitamente la storia dei grandi calciatori parte così, e l’augurio è che la storia si ripeta anche per Vogliacco, le cui lacrime a fine Genoa-Ascoli racconta più di tante parole.
Il terzo giocatore ad emergere con ancor maggior prepotenza nella parentesi Gilardino è Martinez. Le sue decisive parate pesano sulla classifica del Genoa in modo determinante. Non soltanto quella di Bari, ma anche i miracoli su Crnigoj in Genoa-Venezia, su Soleri in Genoa-Palermo e su Canotto in Genoa-Reggina. Quattro parate in quattro partite vinte quasi tutte di misura. Nelle situazioni critiche, quelle dove il portiere deve cercare di coprire più porta possibile per non essere tagliato fuori, Martinez diventa un portiere di spessore, reattivo sulle gambe e sicuro dei propri mezzi. Ma l’estremo difensore spagnolo migliora anche in altre situazioni come le uscite alte, dando più sicurezza al reparto. Il lavoro di Alessio Scarpi, che è tutto tranne che una novità, incide tanto e nelle settimane si è finito per sottolinearlo troppo poco visto che Martinez, cresciuto nella Cantera blaugrana, ha “deliziato” anche coi piedi. Diventa un giocatore chiave per l’uscita dal basso del Genoa trovando appoggi importanti nei già citati Gudmundsson e Vogliacco, ma anche in un ritrovato Badelj.
Anche il centrocampista croato ha avuto un ruolo fondamentale nel Genoa promosso in A. Intanto non deve passare in secondo piano il fatto che, assieme a Sturaro, Bani e Coda, è stato forse il giocatore a vestire più spesso la fascia di capitano in questa stagione (16 volte). In un campionato molto fisico e dinamico, seppur qualitativamente inferiore alla Serie A, si riprende la scena e non soltanto segna tre reti, ma dà anche equilibrio ad un centrocampo che è più di rottura con Strootman, Frendrup e Sturaro ai suoi fianchi. Compone con Jagiello una coppia da 7 gol stagionali, spesso molto pesanti. Una coppia che ha la caratura per giocare anche nel massimo campionato, dove entrambi hanno disputato svariati campionati. Non è un caso che per entrambi si attenda solo l’annuncio del rinnovo di contratto.
Tornando su una valutazione complessiva di squadra, Gilardino ha impresso il ritmo giusto ad una squadra che aveva i valori per raggiungere l’obiettivo. Il tecnico rossoblu ha messo tutti al proprio posto, gestendo con sapienza anche i tantissimi problemi avuti sugli esterni. La nota stonata della stagione rossoblu è stata proprio in quei ruoli, soprattutto sulla corsia mancina dove tutti hanno dovuto dare forfait: prima Pajac, poi Haps, Boci e Czyborra. A queste assenze hanno sopperito Criscito e Sabelli, spesso adattato a sinistra anziché a destra. La società numericamente non avrebbe potuto fare di più. L’unione di intenti ha permesso di chiudere un occhio là dove la sfida ci ha visto benissimo. Ne sono venute fuori le stagioni di grande sacrificio di Sabelli, in gol col Bari e uscito tra gli applausi di tutto il Ferraris nell’ultima gara, e quella evidentemente sottotono, ma di grande serietà e attaccamento alla maglia, di Hefti. Il laterale svizzero ha la pubalgia da novembre – come confermato dallo stesso Blessin a margine di una e più conferenze stampa – tuttavia non ha mai voluto tirarsi indietro. Il “premio” lo ha ricevuto nelle ultime due gare, dove le scorie del problema si intravedevano ancora in parallelo anche ad alcuni miglioramenti, soprattutto di tenuta fisica sui novanta minuti.
Non va dimenticato il capitolo attacco. Il Genoa aveva puntato su Coda avendo negli occhi l’attaccante di Lecce, supportato da un modulo e da due esterni d’attacco che giocavano in funzione del loro centravanti. In rossoblu è stato calato in un contesto tattico diverso, dove gli si è richiesto anche di lavorare maggiormente in fase difensiva. Anche se non ha bissato il numero di reti delle due stagioni scorse, Coda è andato comunque in doppia cifra e ha servito anche sei assist contribuendo a ben 16 delle 53 reti complessive.
In estate si era lavorato affinché potesse giocare al fianco di Ekuban, Puscas e Gudmundsson. Il primo ha saltato due terzi della stagione, il secondo è diventato il suo alter ego prima punta e Gudmundsson, come si è detto, una mina vagante per gli avversari. In un Genoa camaleontico, Coda ha però saputo trovare comunque la sua dimensione dando un contributo del 30% sui gol realizzati dal Grifone. Trenta come le reti complessive segnate dai giocatori del reparto offensivo rossoblu, compresi gli innesti invernali (Salcedo) e le partenze (Yeboah). Come avere due bomber andati in doppia cifra.
Tirando le somme, il Genoa ha una sua pagella tutta personale ed è ampiamente positiva. Il gruppo non ha mai avuto “scazzi”, anche chi ha giocato meno – o quasi nulla – ha sposato la causa rossoblu decidendo di restare anche nel mercato di gennaio e dando il massimo negli allenamenti. Resta qualche rammarico nel non aver potuto vedere a pieno regime giocatori come Aramu, sole due reti e due assist. L’impressione è che, arrivato a mercato quasi concluso, abbia avuto bisogno di un po’ di tempo per entrare negli ingranaggi rossoblu, pagando come tutti il periodo negativo del Genoa a fine 2022 e fermandosi proprio sul più bello, a febbraio, quando nella sfida col Modena sembrava incominciare ad ingranare. In quel caso servì un assist, colpì un palo e mise spesso in difficoltà la retroguardia gialloblu.
Ora sarà tempo di valutazioni per la stagione che verrà, consapevoli che tutti hanno stretto un profondo legame col Genoa in una stagione da incorniciare su tutti i fronti.