Il tecnico del Genoa, Alberto Gilardino, è intervenuto questa mattina in una lunga intervista ai canali di DAZN dal titolo “Mi metto in gioco”. Ad intervistarlo dalle stanze di Villa Rostan un ex rossoblu, ora opinionista televisivo, come Valon Behrami. “Non è mai semplice finire la carriera da giocatore. Credo sia stata una fortuna, ma anche una volontà mia, quella di finire e di cominciare subito un nuovo percorso. Non è possibile non ricordare la propria carriera, tutti i momenti belli e meno belli, te li porterai dietro sempre. Devi però metterli da parte per iniziare un nuovo percorso: subito mi sono buttato in esperienze in campionati minori, per capire se mi piacesse e fossi portato a farlo“.
“In base al mio percorso, nel quale sono partito dalla D passando poi ad esperienze in Lega Pro, mi ero dato un obiettivo – racconta Gilardino – Se fra 4/5 anni non allenerò in Serie B, o addirittura in Serie A, dovrò pensare forse ad un cambiamento o fare qualche altro genere di lavoro o magari continuare sempre nell’ambito del calcio, ma in altre vesti. C’è stata la scorsa stagione l’opportunità di ritornare in un ambiente professionistico e professionale come il Genoa, anche come allenatore della Primavera. E a dicembre vi è stata questa grande opportunità che la società mi ha dato, che ho saputo cogliere al volo grazie ai ragazzi e grazie alla squadra“.
“Il tifoso del Genoa? È una fidanzata che ti ama, magari quando litighi non ti parla più e ci sono momenti in cui sono arrabbiati, ma amano i giocatori e soprattutto la maglia – dichiara il tecnico rossoblu – Questo club ha una grande storia. La bellezza e l’entusiasmo che siamo riusciti a ricreare l’anno scorso ce li siamo portati dietro quest’anno, con quasi 28mila abbonati e uno stadio strapieno ogni domenica. Questo non deve essere una forma di ansia o frenesia durante la gara, i nostri tifosi dobbiamo portarli con noi in campo. Credo sia un valore aggiunto fondamentale. Sio io che te abbiamo giocato in questo stadio ed è qualcosa di fantastico“.
Si parla anche del campionato scorso di Serie B, coinciso col ritorno in Serie A dopo una sola stagione. “I giocatori avevano voglia di rivalsa. La mia percezione era che avessero voglia di vincerlo il campionato, e per me sono stati di grandissimo aiuto dal punto di vista tecnico, ma soprattutto caratteriale e umano – sottolinea mister Gilardino, che non ha mai fatto mistero di questo aspetto nemmeno in altre precedenti interviste – Mi hanno dato tutto. Penso che portare per un po’ di anni un blocco unito di 7, 8 o 10 giocatori sia indispensabile. Man mano inserire giocatori di qualità e con caratteristiche differenti nella struttura di una squadra è fondamentale e indispensabile“.
Per due giocatori di grande temperamento come Behrami e Gilardino, poi, l’intervista diventa l’occasione per parlare del tema della leadership attuale nel mondo del calcio, se sia cambiata nelle dinamiche e nella forma. “Adesso è diventata una leadership un pochino più silenziosa, che viene attraverso gli atteggiamenti in campo – spiega il tecnico del Genoa – Prima veniva con qualche litigata in campo, negli spogliatoi. Adesso è diventata una leadership un pochettino diversa, c’è rispetto e i più esperti rispettano i più giovani. Una volta era diverso: non era che non si rispettassero, ma nel gruppo squadra oggi ci sono grande rispetto e disciplina. È l’adattamento alle generazioni, a chi hai di fronte e alla squadra che hai di fronte. Se tratto tutti alla stessa maniera come allenatore? Difficile trattare tutti alla stessa maniera perché ti rapporti con chi ha 34/35 anni e ha esperienze in campionati internazionali e con ragazzi di 17/18 anni che sono alle prime esperienze. Devi essere coerente con tutti, ma è normale che ci sia un rapporto diverso, nel quotidiano, nel migliorarsi, nell’interagire Ho un occhio di riguardo coi miei attaccanti, assieme al mio collaboratore prepariamo degli allenamenti per farli, finito l’allenamento, rimanendo in campo con loro. Cerco di dare loro dei consigli, soprattutto quando lavoriamo in costruzione lontano dalla porta e anche quando ci avviciniamo alla porta avversaria, agli ultimi 20/25 metri. E quando lavoriamo su palla laterale, su palla centrale, come muoversi e lavorare con l’uomo“.
Immancabile un passaggio sul centravanti che la società rossobli gli ha messo a disposizione, Mateo Retegui, e sui margini di crescita che può avere. “La volontà mia e dello staff è quella di cercare di metterlo nelle condizioni migliori. Abbiamo scelte, nell’analisi della strategia della partita devo ricercare un equilibrio di squadra. In alcuni momenti giocheremo con le tre punte, in altri con due attaccanti. Ha margini di miglioramento incredibili, ha voglia di migliorare ed è un aspetto positivo. Può migliorare tanto spalle alla porta, nella pulizia e nel controllo di palla, e c’è la volontà da parte sua di lavorare anche sull’attacco alla porta e sulle palle laterali. Dentro i 95′ non deve pensare con ossessione al gol, ma deve anche pensare alla squadra“.
Infine, a chiudere l’intervista, una domanda che tocca un punto chiave del mondo degli allenatori: essere integralisti su un modulo e un assetto tattico oppure cambiare senza avere un’etichetta precisa? “È molto sottile l’equilibrio di questa cosa qua. Se tu parli con qualche addetto ai lavori gli piace più la figura di un allenatore che va avanti in quella direzione, non cambia mai, sia nel bene che nel male. Va condivisa e rispettata. Io credo molto nelle caratteristiche dei miei giocatori e il cambiamento passa anche dalle caratteristiche dei miei giocatori – ci tiene a precisare Gilardino – Non è una questione di numeri. Una difesa a tre oppure a quattro comportano arrangiamenti e principi sicuramente diversi, ma in costruzione anche se giochi a quattro puoi lavorare a tre. E poi ci sono tante rotazioni in mezzo al campo o davanti, cambiamenti a cui si lavora durante la settimana per la strategia della partita. Il cambiamento varia dalle caratteristiche e qualità dei giocatori e anche dai principi che tu dai in settimana nella preparazione della gara. Il mio mestiere, che amo, è molto complicato. Sei spesso lontano da casa, sei arido nei rapporti personali, il tuo pensiero è sempre dentro al campo. Diventi così anche se non lo vorresti. C’è sempre una percentuale molto alta del tuo pensiero per un tuo giocatore, per una situazione tattica, per una gara alla domenica che si avvicina. Ci vuole molto equilibrio. Quando sei tu ad allenare e motivare, a dover entrare nella testa dei giocatori e nel lavoro quotidiano, è tutta un’altra cosa. Devi essere tu in prima persona, devi prenderti responsabilità. È tutta un’altra cosa“.
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