I fondi di investimento (private equity) e le holding cominciano a finire sotto la lente d’ingrandimento nel mondo del calcio. Sono in molti casi società che fungono da salvadanaio in cui più soggetti possono investire per ottenere un guadagno, rientrando negli anni dell’investimento.
Basta sbagliare un investimento, come successo ai 777, perché tutto rischi di saltare in aria, come documentato dalle agenzie di stampa specializzate in materia finanziaria (non da blog americani) e da vari documenti del Tribunale di New York. Dispiace che i 777 siano incappati in questa disavventura pecuniaria perché come spesso succede in questi casi il Vaso di Pandora, una volta aperto, riversa tante preoccupazioni nel mondo genoano.
Il momento particolare dei 777, anche se hanno abbandonato il ramo sportivo, è un rischio per il Genoa perché sta comportando la perdita di autonomia della società del Pio Signorini e la difficoltà da parte del club di decidere le proprie politiche: il calciomercato in svolgimento ne è la conferma.
Si è trovato un meccanismo per il quale la holding A-Cap – che non è proprietaria del Genoa, semmai è una delle principali creditrici di 777 Partners, proprietaria del Genoa – risulta uno dei maggiori finanziatori. I 777 sono stati chiamati a rientrare in anticipo rispetto al credito vantato da A-Cap dopo che le autorità americane di almeno quattro Stati hanno indicato alla stessa A-Cap di dover rientrare dagli investimenti, considerati ad alto rischio, in 777.
Il risultato che esista questo tipo di situazione è dato, di riflesso, anche da tre indizi che ormai fanno una prova: Martinez, Retegui, Gudmundsson. Una volta ceduti, non sono più proprietà del club, che per rientrare dei dollari spesi deve movimentare schizofrenicamente il mercato, trasferendo i propri assistiti al rischio di farlo a prezzi di saldo.
Il Genoa non va dimenticato che ha in piedi un piano decennale di ristrutturazione del debito e il mercato attenzionato ancora per questa sessione estiva. Ciononostante le entrate di queste cessioni bisognerà vedere come saranno reinvestite: se in altri investimenti di natura tecnica su giocatori oppure in risanamento del bilancio facendo del Genoa un bene ancora più appetibile in caso di trattative di cessione. In ogni caso, la strada da intraprendere è quella dell’autofinanziamento. Altre non ve ne possono essere.
“L’affondo di investimento” che ha colpito il Genoa con la vendita di Martinez a 15 milioni rispetto al portiere del Monza, Di Gregorio, a 23 milioni alla Juventus è stata la prima prova. L’uscita lampo di Retegui è stata la seconda, la via crucis di Albert la terza. In tutte e tre le operazioni, al netto della situazione del Genoa attuale, c’è anche dell’altro, come la lunga mano dei procuratori che ne hanno subito approfittato condizionando le decisioni dei calciatori, in particolare quella di Gudmundsson. Non era una questione di euro, considerato l’ingaggio che prenderà alla Fiorentina e la controproposta fattagli dal Genoa: voleva andare via.
Sia ben chiaro che le operazioni in uscita di uno o più calciatori erano preventivate anche dal popolo genoano, che ha fatto scattare un altro record abbonamenti fermandosi alle promesse di un Genoa comunque rinforzato anche in caso di addio di qualche big e di un Genoa rivolto verso l’autonomia finanziaria e l’autofinanziamento del club.
Alla luce di questo, ha colpito e spiazzato che almeno due su tre di queste cessioni siano arrivate nei dieci giorni successivi alla chiusura di una storica campagna abbonamenti. Ma la vera decisione non digerita e non capita il passaggio di Coda nella Riviera di Levante, probabilmente l’unica operazione fatta in loco, viste e considerate le tante richieste in cadetteria. Il capriccio del bomber, che il Genoa non doveva accettare almeno fino al 31 agosto (fine del calciomercato), durava dallo scorso anno quando Coda era rimasto irritato dopo essere stato per tutto il calciomercato sull’uscio del Pio Signorini.
Perché questo pezzo e un titolo che qualcuno potrebbe considerare preoccupante? Perché il calciomercato durerà ancora 11 giorni e nessuno vorrebbe altri colpi di teatro nelle uscite o prestiti in entrata che non creeranno plusvalenza e autofinanziamento futuri.
Tutto ciò deriva anche – e non è un dettaglio banale – dalla mancanza di comunicazione da parte della società sul futuro della stessa. Comunicare significa attivare un procedimento di azione sociale. Suscitare l’interesse, la passione, la voglia di capire cosa c’è dentro la scatola Genoa affinché la verità nessuno possa vestirla come vuole.
I Genoani, per loro storia e tradizione, non hanno paura della verità: ne hanno viste troppe nei loro 131 anni da compiere. Non hanno paura di togliere le ragnatele dal soffitto temendo che cada.
Per tale motivo invieremo questo scritto, traducendolo, anche ad A-Cap e la Banca Moelis, inserita in questo contesto di rientro dalla stessa A-Cap per visionare tutto il pacchetto calcistico 777 per quanto riguarda gli investimenti già fatti e quelli di cui necessitano i club.
Nell’inviare loro questo articolo, chiederemo se il Genoa sarà in liquidazione da qui a fine mercato e se, in futuro, sarà in vendita. Cercando di far capire che il Genoa non puó essere soltanto un tassello nel panorama della multiproprietà calcistica 777.
In casa rossoblù hanno ricevuto liquidità e hanno anche fatto capire in questi tre anni di essere in grado di contribuire all’autofinanziamento grazie al lavoro di tutta la dirigenza a Villa Rostan. Dirigenza che deve riprendere l’ottimo lavoro delle ultime due stagioni mettendo da parte screzi e contrasti.
È il momento di far capire tutti agli americani che il Genoa è un business vincente. E il business per il mondo della finanza è una soluzione, non un problema. Fare business significa essere sul mercato, essere sul mercato significa vendere e vendere qualcosa a qualcuno significa guadagnarci sopra.
È quanto sta accadendo anche nel settore giovanile. Appena escono calciatori in grado di poter avere un futuro passano subito ai procuratori che investono sulle famiglie. Operazione che dovrebbe farsi prima in società se si ha intenzione di fare business.
Se però A-Cap non ha intenzione di fare business nel calcio e nel calcio non vede una “soluzione”, come scritto poco sopra, allora venda il Vecchio Balordo. Lo venda singolarmente, non al primo offerente, senza necessariamente mischiarlo alle altre società della rete multi-club.
Come scritto in precedenza trasmetteremo via e-mail lo scritto in America. Appena riceveremo risposta, se arriverà, la comunicheremo affinché si possa giocare un campionato tranquillo con un baluardo come Gilardino e i calciatori in rosa che chiederanno l’appoggio del popolo genoano per raggiungere l’obiettivo, sicuri che aumenteranno i 28.000 e rotti abbonati con la vendita dei biglietti, in casa e in trasferta. Questo i 131 anni di storia rossoblù a quarti lo ha sempre confermato, in particolare nelle difficoltà.