Nell’ambito della trasmissione “We Are Genoa” andata in onda questa sera su Telenord, il Presidente rossoblù Alberto Zangrillo è tornato a parlare dopo che l’ultima volta fu dal palco di Moena, lo scorso 24 luglio. Adesso, a pochi giorni dal 131° compleanno del Genoa, il Presidente sceglie di tornare a parlare e lo fa nei primi giorni di pausa dal campionato.

Oltre che orgoglioso, sono anche responsabilizzato nel continuare in questo percorso – aveva dichiarato dal ritiro in Val di Fassa lo stesso Zangrillo È un percorso difficile, come ho avuto modo di dire diverse volte il mondo del calcio non è un mondo facile, non è solo il rettangolo di gioco e le persone applaudite finora. Sono tutta una serie di situazioni difficili da gestire e talvolta da contrastare. Noi ci stiamo ritagliando uno spazio importante e la nostra storia sta riemergendo forte“.

“Vivo per obiettivi. Ad oggi il Presidente Zangrillo vuole una salvezza tranquilla, vuole partire da lì. Se a gennaio si è già parlato di rinforzare la rosa? Lo auspico, dico che le prime dieci partite ci daranno un orizzonte e vedremo come programmare un futuro che risponda ai miei personali obiettivi, che sono di stare tranquillo. Ricordiamoci che abbiamo una continuità di direzione tecnica che avrà la sua importanza, perché un amalgama non lo si inventa dall’oggi al domani. Abbiamo una garanzia. Colgo l’occasione per dire: continuiamo fermamente a sostenere questo gruppo al di là del risultato, anche dovessero arrivare risultati inattesi e negativi perché il campionato è lungo. Dobbiamo essere dentro al campionato e chi deve venire a giocare a Genova deve farlo con timore reverenziale. Dobbiamo essere in grado di imporre il nostro gioco, giocando in dodici come facciamo tutte le volte”.

“Si è detto che sono stato silente e zitto. Non avevo niente di particolare da comunicare, dovevo attendere rispettosamente e poi dovevo metterci la faccia. Ce l’ho messa sempre negli ultimi tre anni quando era necessario. Non è stato facile mettercela a Napoli o alla Foce, quando ho dato la mano a personaggi rilevanti del tifo genoano garantendo che l’anno dopo avremmo giocato in A. Sentivo fosse qualcosa che potevamo fare. Questo è lo spirito che mi contraddistingue e, scusatemi, pretendo che mi voglia bene anche chi lavora con me. Ho bisogno di sentirmi amato, unico modo per lavorare bene. Sono disposto a prendermi tutte le colpe, però dobbiamo giocare chiaro, guardarci tutti in faccia, andare in quella direzione, assumerci le nostre responsabilità e sapere che tutti i 29mila che hanno pagato per essere tutte le volte con noi sono il momento più importante della nostra realtà. Tutti ce li invidiano. È facile riempire San Siro o lo stadio della Juventus, ma è molto più bello caratterizzarci per quello che siamo, ossia tifosi del Genoa, con la nostra presenza, con il nostro entusiasmo, con la predisposizione a soffrire, con la nostra grande apertura mentale. Sono il vero momento di aggregazione per tutti noi. Siamo una grande famiglia. Lo dico anche al mio club: io ho bisogno di sentirmi amato, è l’unico modo per volermi bene”.

“Proprio oggi si è celebrato un CdA del Genoa e alla fine e all’interno ho chiesto al rappresentante dei 777, Steven Pasko, quale fosse la situazione e soprattutto se il Genoa è ancora di proprietà dei 777. La risposta è stata perentoria e assolutamente affermativa – ha esordito Zangrillo questa sera a Telenord, con la prima domanda che riguarda le vicende societarie dei 777 Partners – Ora, se si fa riferimento a difficoltà di bilancio e cose poco certe su cui si è dibattuto – tutti abbiamo letto ed è inutile negarlo – bisogna richiamare anche a serietà e pragmatismo nei confronti di coloro che si trovano a dover dare giustificazioni davanti ad una corte federale Oltreoceano perché accusati di una serie di cose. E perché noi siamo certi della necessità dello stato di diritto e l’America è uno stato democratico dove vige lo stato di diritto, dobbiamo vigilare e stare attentissimi – ed è anche compito mio, e lo dico anche al popolo rossoblù – e io per primo, attenendosi però ai fatti. Attualmente il Genoa CFC è di proprietà di un’entità certa, quella degli ultimi tre anni, e sono i 777 Partners”. 

Quale futuro attende il Genoa? Oltre alla ristrutturazione del debito, c’è un ulteriore passaggio formale che è quello della ristrutturazione del debito con l’Agenzia delle Entrate – puntualizza Zangrillo – L’abbattimento del debito aumenta le nostre responsabilità perché dobbiamo essere assolutamente rigorosi e puntuali. Ci aspetta quello che ha anticipato il CEO Blazquez, che ha parlato di una progressiva evoluzione verso l’autosostenibilità economica. Questo comporta sacrifici e un percorso travagliato e difficile, soprattutto in un contesto straordinariamente difficile e in crisi come il calcio italiano, dove la distribuzione dei diritti è la maggiore delle entrate per la quale bisogna duellare quasi quotidianamente. Il Genoa ha fatto la sua parte perché ha voluto che venisse riconosciuta la presenza negli ultimi campionati del nostro Grifone. Che ci aspetta? Tutti noi dobbiamo essere protesi per andare a perseguire questo obiettivo, che è un atto di responsabilità che sento gravare molto sulle mie spalle e ci metto anche su questo la faccia: non arrivare ad un punto in cui possiamo iniziare a dubitare o avere paura di quello che può essere il nostro futuro. Dobbiamo navigare in un contesto che non è quello proposto tre anni fa, con grandi proclami, all’americana, con Wander che alzava il pugno verso la Nord promettendo la UEFA. Noi dobbiamo avere il coraggio di rivisitare le nostre aspettative ed essere estremamente coerenti e sinceri, e come ho detto che l’anno scorso l’obiettivo è una tranquilla salvezza, non posso che ribadirlo (poi vedremo attraverso quali leve), sicuramente tenendo conto del fatto che non possiamo pensare ad altro e fare voli pindarici. Se poi saremo il Bologna del 2024/2025, saremo tutti felicissimi. Diciamo che questa è una cosa che in qualche modo subiamo: nessuno di quelli presenti qui a Genova ha pensato di poter fare il passo più lungo della gamba. Possono pensarlo i tifosi per la performance sportiva, ma dal punto di vista di sostenibilità ed equilibrio economica è un’altra vicenda”. 

Sulla vicenda Leadenhall: “Credo che nessun elemento debba portarci ad essere preoccupati perché il Genoa è una scatola chiusa, ermeticamente messa in sicurezza, e se ancora non ha raggiunto l’autosostenibilità economica, è sulla strada corretta. Se manca tanto? Questione di un anno, di due anni, questione di raggiungere taluni risultati in un contesto assolutamente in crisi come quello del calcio rientrando con altri elementi importanti, come gli sponsor. Altra azione fatta negli ultimi tre anni è stata avvicinare al club sponsor come MSC, Pulsee, sponsor istituzionali di rilievo nazionale e internazionale. C’è il Qatar e ci sono alcuni riconoscimenti arrivati al Genoa per il semplice fatto che c’è qualcuno che dimostra personale amicizia nei miei confronti, senza valutare una presenza fissa in uno sky box. Tutto questo perché stiamo aumentando carisma e visibilità e, quindi, non sono preoccupato. C’è un’indagine in corso e siamo puntualmente al corrente delle ragioni del ricorrente, Leadenhall, e d’altro canto siamo a conoscenza della linea difensiva, se dobbiamo presupporre che un domani si debba affrontare un contenzioso che va ricomposto e ordinato da un organismo federale. Tutto quello che stiamo facendo lo stiamo facendo perché quelle che sono le risorse del Genoa rimangono dentro il Genoa. La plusvalenza di mercato rimane nelle casse del Genoa, viene custodita gelosamente nelle casse del Genoa per consentire di pagare i fornitori, perseguire i nostri progetti, onorare gli impegni quando ci riferiamo alle cedole per la prima tranche del bonus sul bond per la Badia. Tutte opere che sono in corso, valutabili, che ci mettono sotto la lente perché abbiamo fatto delle promesse e vanno portate a casa. Talvolta i fornitori sono un po’ arrabbiati con noi perché ci impieghiamo qualche giorno o mese in più per pagarli: è il mondo del calcio, dove talvolta è difficile stabilire le priorità di intervento. È un’altra opera che deve essere fatta: darsi una caratterizzazione di tipo manageriale moderna, efficace, che affronti anche queste dinamiche per non passare per “piantapuffi”. 

Sulla direzione di Ayroldi in Genoa-Verona: “Se farsi sentire al palazzo può servire? Mi rivolgo ai miei fratelli Genoani. Fino a qualche anno fa ero incazzatissimo in Tribuna Laterale e più volte lo manifestavo in modo molto rude nei confronti della terna arbitrale. Ora, vedendomi nelle foto, sono invecchiatissimo e questo è dovuto ad una metamorfosi costituzionale che mi ha portato da tifoso ad essere presidente, gravato da una serie di responsabilità. Lo ammetto: prima della partita, cosa che però non faccio spesso, sono stato accompagnato presso lo studio degli arbitri, memore dell’episodio nella precedente gara con l’Inter quando abbandonai lo stadio di San Siro al 32′ del primo tempo. Lo abbiamo ricordato simpaticamente. È qui che chiedo scusa a chi mi ascolta: il massimo sforzo che ha comportato dieci anni di invecchiamento è stato di interpretare al meglio il mio ruolo andando a congratularmi con l’arbitro Ayroldi alla fine della partita. Perché vedete: la manifestazione da parte mia contraria e di disappunto manifesto avrebbe giocato negativamente. Vi assicuro che ho un rapporto personale molto forte con chi governa questo aspetto e cerco di curarlo, proprio perché cerco sempre di mostrare grande senso di responsabilità pur con sofferenza interiore. Cerco sempre di trarre insegnamento da Badelj, nostro capitano attuale, che è persona di grande equilibrio. C’è sempre questo condizionamento psicologico che per adesso ci penalizza ancora. I meccanismi cui faceva riferimento Onofri, ossia raffinare il prodotto finale attraverso un’interazione tra VAR e quanto accade in campo, possono essere condizionati anche da fattori emotivi non irrilevanti come quando ci si trova di fronte alla Nord.  Sarebbe opportuno andare a focalizzare il prodotto finale di questa interazione. Credo che la nostra azione pedagogica possa avere un senso. Sicuramente è preferibile essere in credito che non in debito e penso che alla fine riusciremo a produrre dati positivi anche per il Genoa. Genoa che è un gruppo educato: la policy comportamentale del club è veramente di esempio”. 

L’obiettivo finale è il bene del Genoa. Se questo bene passa attraverso una tacitazione di tutte le controversie che leggiamo e che ci vengono proposte nel tempo, ben venga perché si è dimostrato che questo tipo di governance è vincente, internazionale, che passa attraverso indicatori molto severi che vengono valutati e che ci portano a correzioni di mercato o di altre cose. Un management aziendale che travalica quelli che sono i confini della società locale che si cala nella realtà del campionato nazionale e dà ampio respiro. Evidentemente, però, per essere vincenti ed efficaci in un contesto di questo tipo bisogna che tutta una serie di situazioni si concretizzino. Una è la tranquillità economica, la seconda che si vada tutti nella stessa direzione, la terza di avere la certezza assoluta che alle spalle la nostra gente ci capisca, ci segua, ci sproni e ci tuteli. Vero che abbiamo una marcia in più,  la hanno i nostri tifosi: continuino a credere in noi. Se percepissi di non essere più creduto, avrei delle grosse difficoltà e mi porrei la seguente domanda: “ma chi me lo fa fare di rovinarmi la vita e una reputazione faticosamente costruita nel corso degli anni in un altro ambito professionale e che mi ha portato ad essere vincente”. Sono abituato a ragionare per obiettivi. Una cosa mi fa sorridere e un po’ anche mi infastidisce: chi dice che quest’uomo non conta nulla, oltre a non avere portafoglio non ha neppure deleghe. Vero, non ho deleghe operative e non decido se Maria Rossi deve essere assunta o quell’altro mandato via. Queste cose le subisco, ma è il gioco delle parti, che mi porta a giocare un ruolo di grande autorevolezza, di grande presenza in prima persona, di tutela del nostro brand, per poter andare in Lega ed essere rispettato e ascoltato, per essere chiamato per pormi una domanda o una valutazione. Ciò mi rinfranca molto e, siccome non sono abituato come Al Capone a rincorrere titoli e distintivi, mi va anche benissimo. Non lavorare nell’ombra, ma nella retroguardia, mi permette di essere molto libero di mente, di non aver nessun conflitto personale e poter dire la mia in modo molto franco”.

Sul mercato appena chiuso: “Che voto do al mercato? Non ne do e mi salvo dicendo che non ne ho competenza. Chiaro che in ogni ruolo vorrei il Mbappè della situazione. Credo che, al di là di parlare di attivo, quando si parla di attivo ci si riferisca alla finestra di mercato. Vuol dire che abbiamo più venduto che comprato. È abbastanza evidente e dobbiamo tenere conto che ci siamo liberati di tutta una serie di figure che gravavano e appesantivano il costo aziendale, giocatori cui ero particolarmente affezionato e che avevo conosciuto: erano bravi ragazzi, ma non facevano parte della rosa ideale di Gilardino. So benissimo che qualcuno qui è rimasto malissimo, avendo avuto una divergenza manifesta di vedute col CEO Blazquez, che ha sostenuto una tesi che non era a suo giudizio confacente con le argomentazioni che avevano animato il loro dibattito personale (il riferimento è all’intervista di Blazquez dello scorso 25 giugno, ndr). Gilardino ci stupirà, lo ha già fatto e ne sono sicuro. Sono assolutamente convinto della buona fede di allora e credo sia stato un errore di comunicazione. Blazquez aveva manifestato tutto il suo disappunto per una vendita che non condivideva, quella di Martinez, andando ad indicare la direzione del suo disappunto che porta nel mondo mefitico dei procuratori. La prospettiva di mantenere Gudmundsson e Retegui era ancora reale”.

Diciamo che l’evoluzione successiva è figlia di questa necessità di un controllo rigoroso, maniacale, che poco si sposa con le aspettative razionali di chi fa il mercato, che cerca di comportarsi andando a prendere quello che le finanze in quel momento ti consentirebbero spiega Zangrillo – Le nostre finanze ce lo avrebbero consentito, ma abbiamo veramente avuto un blocco categorico e un imperativo a vendere, arrivato nei giorni successivi. Detto questo, cerco sempre di dire la verità. Cosa ho detto dei due ragazzi? Albert è un ragazzo splendido, di 26 anni, pulito, trasparente, genuino: sicuramente non gli ha fatto bene che ci fosse un leit-motiv per cui fosse lui che tutti i giorni andava a rompere le balle e voleva andare via. Era vittima di quelle dinamiche e di questi procuratori che sono personaggi veramente negativi, che non hanno a cuore nemmeno quelli che sono i sentimenti, ma solo i loro interessi. Se noi avessimo avuto Lukaku,  che ha cambiato tre squadre in tre campionati, cosa avremmo fatto? Non oso pensarlo. Retegui era situazione ancora più difficile. Lì c’era il padre-padrone, il procuratore, un ambiente non semplice, figlio del fatto che il ragazzo aveva aspettative personali molto alte che coincidevano con il suo impegno in Nazionale. Qua va detto: sentiva venissero limitate dalla sua utilizzazione in una squadra che non gioca le coppe e non è di primo livello, quale il Genoa. Abbraccio l’idea che Albert prima o poi possa tornare e possa sentire il nostro richiamo che prevale. A Mateo auguro ogni bene, perché ricordiamoci pur sempre che è stata una nostra scoperta, del nostro entourage tecnico. Pinamonti? Andrea ha dimostrato di essersi ristrutturato a livello mentale, ha 4/5 anni di più, è persona serie e arriva dal Trentino dove vieni forgiato a latte e fieno. È un piccolo Sinner e ci credo molto. Gollini? Bisognerebbe sentire Scarpi. Credo sia un ragazzo che gioca in un ruolo molto difficile, ho grandi aspettative. Mentalmente è strutturato in modo positivo e in un ambiente che alla prima nota stonata non lo attacca, merita di essere sostenuto. Anche perché veramente voleva venire al Genoa”. 

Sull’addio di Sbravati direzione Juventus: “Faccio molto presto a rispondere. Non ho avuto un contatto costante con Sbravati nei tre anni precedenti. Ci siamo sentiti in momenti fondamentali e lui mi ha esternato tutto il proprio disagio e mai mi ha detto di essere stato spinto ad andarsene. Mi ha parlato di questa prospettiva di crescita personale che rappresentava per lui qualcosa cui difficilmente si poteva dire di “no”. Voleva in qualche modo catturare la mia approvazione. Mi fa piacere riprendere il ragionamento sulla necessità di internazionalizzare il nostro ragionamento, cercando di completare il discorso sul nostro mercato dando un elemento di valutazione ulteriore. Nulla quaestio sul fatto che il nostro AD sia il padre-padrone del Genoa, ha ampie e totali deleghe. A Pegli si fa quel che lui decide, dopodiché c’è un DS che si chiama Ottolini. Vorrei però ricordare che non si sono poi disciolti due personaggi citati positivamente come Spors e Dransfield, che ha e rappresenta la direzione amministrativa, la legacy economica di tutto il gruppo calcio, cui fa riferimento la proprietà. Senza addentrarci se la proprietà è solo 777 o A-Cap, in tutte le operazioni di mercato che vedevano un’entrata proposta – esempio: si è fatto un gran parlare di De Gea o di Perisic -, l’ultima parola (in questo caso un diniego motivato) era di Don Dransfield. La filiera decisionale passa attraverso una proposta, una condivisione con l’allenatore, l’espressione di un parere dell’allenatore, di cui tenere conto, e una proposta Oltreoceano cui si risponde con un pollice alzato o un pollice verso“.

“Non mi ha appassionato la vicenda Perisic – ci tiene a puntualizzare Zangrillo – Spero tornino a disposizione giocatori come Marcandalli, Matturro, Miretti per il tempo che starà con noi, scelti ad hoc e prodotto di Sbravati. Sono quelle persone, assieme ad Ekhator e Honest, su cui il Genoa sta creando il proprio futuro. Come collaborano Spors e Ottolini? So che in Italia è stato con sede prevalente ad Arenzano e ogni volta che parlavo con Ottolini percepivo tra loro ci fosse un contatto costante – risponde il Presidente – Spors evidentemente non si occupa solo del Genoa, e se ne occupa molto meno. In questo momento ha acquisito una forza importante Ottolini, persona stimabile e strutturata anche per valori morali. Quando vedo nel panorama nazionale la figura del direttore sportivo, ringrazio il Signore perché forse è poco espressivo e uomo di poche parole, ma molto educato, per bene e consapevole di essere sulle sabbie mobili. Si tratta di organigrammi che tengono conto di una realtà multifattoriale e multisocietaria. Diciamo che oggi chi è responsabile del Genoa, è responsabile del Genoa, ma si confronta e tiene conto delle indicazioni che arrivano dalla casa madre. È come il concessionario, che ha delle macchine, ha una sua responsabilità ed è teso a vendere il più possibile, ma poi Volkswagen e BMW lo chiamano e gli dicono “occhio”. 

Nel mio ruolo, è estremamente importante – e faccio una enorme fatica perchè vuol dire fare uno sforzo culturale per arrivare a perseguire l’obiettivo del controllo e della tutela del bene – non scendere mai a patti con chi ha interessi personali e che magari propone facili soluzioni, perché nelle more delle facili soluzioni c’è sempre il tornaconto personale. Nella commedia di Carlo Goldoni, nel 1745, ci sono il truffaldino Arlecchino, servo di due padroni, poi c’è Brighella. Bisogna stare attenti. Il mio compito è essere certi che quando si varca quel cancello, quello di Pegli e di Villa Rostan, si entri in un mondo depurato da queste scorie che sono in grado di contaminare chiunque. Lo dico come monito: mi aspetto, pretendo, sorveglio e mi attendo che tutti coloro che sono sul libro paga del Genoa CFC non deviino mai sulla strada di Brighella o Arlecchino, ed è molto semplice: perché la via Genova-Milano, come quella Roma-Milano o Napoli-Milano, è sempre intasata durante il calciomercato e i grandi alberghi di Milano sono grandi case chiuse. Perché il mondo del calcio è un mondo dove anche il personaggio più leggero per consistenza personale e per caratteristiche fondamentali rischia di farti diventare quello che non sei pronto ad essere, facendoti giocare ruoli che non sono tuoi, comportare da ricco quando non lo sei, crescere troppo in termini economici, non poter giustificare certi comportamenti o andare in giro e fare sfoggio di grandi macchine aziendali. Queste cose non ci devono appartenere, soprattutto in momenti in cui il Genoa sta perseguendo una policy aziendale di grande attenzione ai conti. I primi a dover dare esempio siamo noi. E questo passa dalla maglia che ci compriamo a sessanta euro e che tutte le volte che prendiamo “xattandola”, come si dice in genovese, dobbiamo pensare al tifoso che se la compra per portarsela a casa”.

Sul fatto di non aver preso un vice-Albert: “Perché non esiste. Cerchiamo di essere pragmatici. Ho un rapporto personale molto forte con Gilardino. Se Gilardino è rimasto, lo si deve anche a me. Lui per primo me lo riconosce. Quando era stato tirato in mezzo in una serie di circostanze, l’ho difeso e ho sposato convintamente la causa di Gilardino. Sono stato ripagato dalle caratteristiche proprie di quest’uomo, che è persona che fa azioni quotidiane step by step di crescita personale, di confronto ammirevole con lo staff. Confronto col vice Caridi, con il preparatore atletico Pilati, con Murgita, Scarpi, Raggio Garibaldi. È un piacere stare con loro. Mi spiace per come è andata l’avventura Blessin, ma ho ben presenti le caratterizzazioni quotidiane della squadra in ritiro in cui c’erano 20/25 elementi che non si parlavano. Oggi è un piacere stare con loro. Hanno un interesse straordinario. Gudmundsson, di cui abbiamo parlato tanto, era uno straordinario maestro di scacchi e giocava coi compagni insegnando loro. Questo è merito anche e soprattutto di Gilardino, che li ha lasciati liberi, ma li controlla, è rigoroso e dà loro delle indicazioni. Sa scegliere e talvolta è anche impopolare. Tutto questo per dire che trovo Gilardino sereno: abbiamo un contatto quotidiano e quando non era particolarmente in equilibrio, era teso e aveva paura di fare brutte figure, l’ha sempre pubblicamente manifestato. Talvolta è stato anche redarguito perché i panni sporchi si lavano in famiglia. Da questo punto di vista, però, è maturato molto e devo dire che quando si gioca, è diventato un comunicatore, riuscendo a dare una lettura inedita della partita che ci aspetta. Se correttamente interpretata dai ragazzi, li aiuta a trovare la chiave per quella partita. Poi non è detto che riesci sempre ad aprire la porta…”

Si torna poi sulle tre cessioni estive eccellenti: “Se il gruppo ha reagito quasi spontaneamente alle tre cessioni facendo intendere che c’erano anche loro nell’undicesimo posto dell’anno scorso? È assolutamente così, ci crede e lo riesce a trasmettere. Ha un grande capitano, Badelj, che può sembrare un capitano poco comunicativo, ma parla coi suoi silenzi e il proprio comportamento. Le cose di spogliatoio non vanno mai dette, ma questa si può dire. Alla fine della partita col Verona, ho visto una cosa bellissima: tutti i collaboratori che escono dalla stanza dello staff tecnico e raggiungono Gilardino nello spogliatoio, dove avevo appena detto ai ragazzi: “Grazie, perchè so che avete dato tutto”. Gilardino cosa ha detto? Che siamo stati una grande squadra, abbiamo fatto una grandissima partita fin quando non si è subito il gol e qualcosa ha determinato la sconfitta, ossia ognuno ha giocato per sé stesso. Si è dissolto il gruppo. Ma questo è un gruppo molto coeso, dove non ci sono esteriorità”. 

Sul passaggio di Coda alla Sampdoria: “Cosa ho pensato? Non l’ho capita nemmeno io. Qualche tempo prima della cessione definitiva, ho chiamato Coda e gli ho detto: “Massimo, che cazzo fai?”. Lui mi ha fatto capire la verità, che voleva rimanere a Genova e l’unica alternativa era quella. Gli ho detto: “guarda, stai attento, non è bello, qua e là”. Gliel’ho detto proprio chiaro. Non ho avuto un ruolo, ho assistito: non posso pensare di capire e approvare tutto, ma devo accettare tutto perché c’è qualcuno che si è preso la responsabilità. Poi magari ha ragione lui. Coda è passato da noi a loro, Thorsby da loro a noi. Coda nell’immaginario era qualcosa di diverso, anche perché si ritiene che contribuisca alle fortune delle squadre per cui lavora, come dimostrato negli anni. Però alla fine è andata così. Ci sono cose più importanti. Tra queste, a Pegli da sempre c’è un altro grande capitano. Si chiama Marco Rossi. Voglio tributargli un sincero “grazie” perché riesce sempre ad essere di grande valore e supporto nella lettura della partita, talvolta riuscendo a controllarsi poco perché è appunto un “toscanaccio”. Gli devo dire grazie perché mi ha insegnato quello che mi mancava per essere completo nel mio ruolo. È molto nervoso, molto genoano, molto attaccato alla maglia, amatissimo dai Genoani. Credo sia giusto ricordare il suo ruolo e la sua presenza, i suoi trasferimenti Massa Carrara-Genova, le sue sofferenze. Difficile lui invada il campo della sfera intima nel suo essere compagno calciatore, però c’è sempre ed è in grado di essere positivo”. 

Sull’imminente compleanno del Genoa e il tema stadio: “Era proprio l’argomento della riunione odierna andare a perlustrare tutte le strade utili per avvicinarsi ad una proprietà dello stadio, che coinciderebbe anche con una necessità economica. Lo stadio di proprietà ha anche questa valenza. È molto difficile perché, cari Genoani, dovete comprenderlo: lo stadio del Genoa bisogna costruirlo. Dove lo vogliamo costruire? Sul mare davanti alla Diga foranea? Abbiamo Renzo Piano, grande ideatore e progettista, che potrebbe farci dono di quest’opera. Noi abbiamo però l’attuale stadio e realisticamente ci gioca anche l’altra squadra ligure. E allora dobbiamo tenere conto che stiamo producendo il massimo sforzo per avvicinarci ad un dialogo fattivo ed efficace col Municipio e col Sindaco, che ho incontrato anche la scorsa settimana. Sui festeggiamenti, non so cosa stiano organizzando i miei amici ragazzi che sono sempre in grado di emozionarmi. È un momento unico, tenendo conto che c’è la sosta nazionali ed è un momento difficile. È un momento dove dobbiamo rifare una chiamata alle armi per dimostrare che il popolo rossoblù c’è, crede in noi, crede in me e nel futuro. Voglio promuovere entusiasmo perché dobbiamo vivere di entusiasmo, positività e abbiamo tutti gli elementi“.

Da qui in avanti parte un passaggio dell’intervista nel quale si parla di molti singoli calciatori attualmente al Genoa. Si parte con Vitinha.  “Vitinha è un ragazzo d’oro, ancora poco strutturato come personalità in un contesto professionistico di una squadra professionistica di Serie A, che non appartiene alla sua storia. Ha attraversato anche un momento personale difficile, da cui è uscito brillantemente col sostengo di tutti noi. È molto sensibile, vuole dimostrare quello che è. Sente la pressione, ma talvolta produce qualcosa di straordinario. Ci aspettiamo molto da lui, senza esercitare pressione, e siamo convinti che questo ragazzo possa fare veramente la sua parte”. 

Se si è fermata la ricerca di giocatori alla Gudmundsson o alla Frendrup? No, non si è assolutamente fermata. Mi permetto di dissentire. Penso ad Ankeye, ad esempio, sul quale vi do anche una grossa novità: Ankeye tornerà a lavorare in gruppo. È completamente uscito dalle sue problematiche che lo hanno tenuto lontano anche e prevalentemente per questioni di prudenza e opportunità. Il ragazzo non aveva particolari problemi. Penso a Norton-Cuffy: per ottobre penso sarà pronto. A vederlo è una simpatica canaglia. Miretti? L’ho visto dopo la partita col Verona. Ragazzo con un pedigree che parla per lui, è un ragazzo che darà il suo apporto quest’anno. Messias? Oggi ha fatto una valutazione che ci impone una certa cautela. È molto auto-diagnosta: ha grande voglia di esprimersi sul terreno di gioco ed è in grado di dare valutazioni più esatte delle risonanze magnetiche. L’anno scorso aveva anticipato che il problema sarebbe stato più grave, allo stato attuale tende non dico a banalizzare, ma a contenere il pessimismo per quanto riguarda questo fastidio avvertito all’altezza dell’adduttore. Zanoli? Ragazzo di grande prospettiva e grande presenza sulla fascia, che fa le due fasi. È praticamente pronto, ha grande voglia”. Possibile un recupero lampo per la sfida dalla Roma, sembra trapelare dalle parole del Presidente

Su Gudmundsson e le polemiche da Firenze, dove sostengono che il Genoa lo abbia abbandonato medicalmente. “Noi abbiamo un settore sanitario di prim’ordine. Tre figure che sono il Responsabile Alessandro Corsini, che ha ordinato il lavoro di circa cinquanta persone; il grande Marco Stellatelli, persona dall’impegno e dalla presenza commovente, talvolta anche solo per uno spirito di servizio; il grande Francesco Nuccio, che vediamo correre assieme a Cistaro. La domanda nasceva dal fatto che da Firenze siamo stati accusati di averlo abbandonato medicalmente. Il problema era stato circostanziato e valutato, chi compra un giocatore fa tutta quella pagliacciata delle visite con l’arrivo del van, le foto, il tubo delle risonanze magnetiche. Se avevano qualcosa da dire, lo avessero detto. Se vogliono tornarcelo indietro…”

Sul tranquillizzare i tifosi in vista di una stagione tranquilla: “Ci sono delle regole non scritte derivate dal buon senso e da una cosa fondamentale, che mi richiama al mio ruolo di attenta valutazione dall’esterno, ma senza mai correre il rischio di intrufolarmi nei ruoli altrui. All’interno di una società che si rispetti il DG fa il DG, il DS fa il DS, l’AD fa l’AD. non è possibile che siano altre logiche che nascono da rapporti personali, dalla consuetudine, dal fatto che tutti si conoscono e certi rapporti vengono facilitati, per cui ognuno pensi di fare quello che non deve accadere sul terreno di gioco. Quando giochi per te stesso, fai il guaio della società”.

La forza del Genoa è che tutti stanno bene assieme ci tiene nuovamente a sottolineare Zangrillo – Non c’è alcun motivo per avere degli attriti, avere risentimenti, per non parlare apertamente. Da questo punto di vista il modello di squadra che abbiamo è vincente e deve essere in grado di contaminare tutto l’ambiente. Dobbiamo farci contaminare dai nostri ragazzi, si aspettano molto da noi e devono sapere che siamo tutti con loro e che devono battere la Roma. Il derby? Ogni derby ha le sue regole, è partita sé. Sono portato a minimizzarne l’importanza. Voglio arrivarci col cuore sereno, con grande fiducia e disincanto. Do per scontato che si debba vincere, ma il nostro obiettivo è che dobbiamo comportarci bene in campionato. Come sarà suddiviso lo stadio? Ho parlato con il Prefetto che mi ha chiesto vengano garantiti quei principi di logica organizzazione che portano a non fare correre rischi superiori a quelli che già si corrono per il fatto che sia una stracittadina che vede una contrapposizione talvolta poco sana delle due realtà. Cari Genoani, noi siamo orgogliosi dei nostri colori, siamo orgogliosi di quello che sentiamo di rappresentare. Io credo di averlo dimostrato anche dopo quella che era la grande eccitazione, la grande gioia ed emozione che mi ha portato a diventare e vivere da Presidente, con la fatica fisica del dover interpretare questo ruolo. Genoani, noi siamo d’esempio per le nostre coreografie, il nostro cuore, per avere seguito i nostri colori in tutte le categorie, da motore propulsore di questa realtà. Abbiamo anche i numeri dalla nostra parte, siamo la quarta tifoseria per abbonamenti. Vogliamo perderci in quattro scaramucce domestiche che durano 100 minuti e poco più? Andiamo oltre, noi siamo il Genoa“.

Su Frendrup e la sua permanenza in estate: “Sono innamorato in modo sano di Frendrup, lo abbraccio ogni volta che lo vedo. Credo che nella responsabilità gestionale di chi ha la responsabilità di mettere a disposizione del mister una squadra che abbia un senso, essendo stati fatti dei sacrifici in uscita e non essendoci un’equivalenza in entrata, il mantenimento di Frendrup sia ineludibile e sia a garanzia della forza e del valore di un centrocampo che lo vede protagonista. Anzi, sono veramente emozionato e grato per l’impegno che ci mette in ogni fase della sua giornata. Si allena con una grinta e una garra straordinarie”. Sui rinnovi di Sabelli e Vogliacco: “Han fatto tutte quello che era possibile da parte loro per essere rinnovati. Evidente che auspico ciò accada perché se lo meritano”. 


Festa Genoa a Moena, le parole del Presidente Zangrillo. “Nostra storia sta riemergendo forte”