In un’intervista congiunta tra Cronache di Spogliatoio e Pulsee Luce e Gas, sono stati intervistati tre giocatori rossoblù: Pinamonti, Frendrup e Thorsby.
Quali valori della vostra infanzia vi stanno aiutando nel calcio?
“Ho avuto un percorso nel calcio un po’ diverso dagli altri – inizia Thorsby – non ho mai fatto la normale scuola calcio, ma fino a 14/15 anni ho fatto tantissimi sport, dallo sci di fondo allo sci passando per il tennis. Qua in Italia se giochi a calcio da giovane, poi giochi solo a calcio. Noi invece facciamo tanti sport: devi capire magari movimenti differenti, ma è un altro modo di pensare lo sport. Per me è stato bellissimo: alla fine ho scelto il calcio. Si vede che non c’è solo una strada per diventare calciatore professionistico. In Norvegia, in inverno, per sei mesi ci sono freddo e neve e, quando ero piccolo, non c’erano tanti campi artificiali. D’inverno facevo sci di fondo e hockey e ad aprile cominciavo a giocare a calcio per sei mesi. A 14/15 anni ho iniziato a fare solo quello sport. Si dice che devi giocare più possibile a calcio, o forse si può pensare che è meglio fare tante cose e imparare movimenti differenti prima di decidere. Con me ha funzionato bene”.
“Ho iniziato a giocare anch’io a calcio perché giocava mio fratello – spiega Frendrup – Se i miei genitori mi hanno tramandato qualcosa? Nella mia famiglia abbiamo giocato sempre con una palla. I miei genitori hanno giocato a pallamano ed è iniziato così: ho iniziato prima così a giocare con la palla, poi coi piedi”.
Sulla famiglia e il supporto datogli prosegue Pinamonti: “Come famiglia mi sento privilegiato perché da mamma e papà ho sempre avuto tutto. Non mi hanno mai imposto nulla ed ero libero di provare vari sport. Ad otto anni sono arrivato ad un bivio nella scelta tra calcio e tennis, che frequentavo più volte a settimana. Lo sci era un divertimento. Alla fine ha prevalso la passione per il calcio. Non ho mai avuto dai miei genitori una pressione sul dover fare questo o quello: la cosa bella per un bambino è avere genitori che ti lascino libero di fare le tue scelte. I miei genitori, anche dopo la mia scelta, dovrò sempre ringraziarli. A che età sono andato via da Cles? Definitivamente a 14 anni, quando sono andato in convitto all’Inter. Dagli 8 ai 13 anni ho fatto settore giovanile al Chievo Verona, ad un’ora e mezza da casa mia. Ero a casa mia, vivevo coi miei genitori, ma era un’ora e mezza ad andare e tornare, quattro volte a settimana. Era più fuori casa che in casa. L’esperienza del convitto è stato brutta da una parte perché ti stacchi da parenti e amici, ma ha avuto i suo pro e contro ed è stata liberatoria perché non avevo più quell’ora e mezza di macchina da fare”.
“Chi mi ha più ispirato nella mia carriera? Ho avuto tante esperienze sia con allenatori sia con giocatori differenti – prosegue Pinamonti – I miei anni all’Inter sono stati sicuramente quelli dove ho imparato di più coi giocatori: quando ero più piccolino con Icardi, l’anno dello scudetto con Lautaro e Lukaku. Dopo quell’anno mi sono sentito migliore. Ogni allenatore ha la sua idea di gioco, puoi assimilare da ciascuno più cose positive. Non c’è una persona singola con la quale ti direi che mi sono sentito migliorato, ma è un mix di persone che mi hanno fatto crescere“.
A chi domanda loro con quale modulo giocherebbero, il primo a rispondere è Thorsby. “Tutti noi abbiamo un ruolo preferito, ma si vede che il calcio è uno sport di squadra e tu puoi dare il meglio di te solo se hai una squadra che funziona. La squadra è fondamentale anche per te stesso. Ovviamente per noi è una cosa individuale, ma tutti abbiamo bisogno della squadra. Non c’entra tanto il sistema, ma il gruppo. Forse ragione più come un centrocampista”. “Da attaccante, mi piace di più avere più persone intorno a me, quindi se un domani dovessi fare l’allenatore metterei l’attaccante in condizione di avere più occasioni possibile – prosegue Pinamonti -, ma da centrocampista ovviamente si deve pensare di più alla fase difensiva. Bisogna equilibrare un po’ le cose: ognuno ha il suo modo di vedere il calcio”.
E Frendrup, guarda qualche giocatore della Serie A per diventare come lui? “Quando ero piccolo ho visto tanta Premier League e tanto di Gerrard, ma ora lui non gioca più. C’erano anche altri giocatori come Kantè o altri buoni giocatori. In allenamento guardo tanto Badelj o giocatori come lui. Guardo molto come gioca lui. Ho cercato di rubare qualcosina da lui“. Pinamonti racconta di aver seguito, a sua volta, tanta Premier League, con Droga e Torres come giocatori da prendere ad esempio, e Thorsby svela di aver apprezzato per tantissimi anni Rosicky dell’Arsenal. Lo stesso Thorsby, poi, parla della sua iniziativa di riciclo di scarpe e vestiti da calcio che altrimenti andrebbero buttati. “Abbiamo un progetto in Italia e in Norvegia dove raccogliamo tutti i vecchi vestiti e le vecchie scarpe da calcio per dare loro una nuova vita, perché oggi più del 90% della roba che abbiamo utilizzato finisce in natura o la mandiamo in altri Paesi, come l’Africa, dove viene poi buttato. È un ciclo non sostenibile e vogliamo proporre una nuova idea di come possiamo farlo“.
Frendrup racconta di come prova a migliorare nella sua più spiccata caratteristica, che è quella di strappa palloni. “Guardo tanti video assieme ad un membro dello staff e anche insieme ad un altro ragazzo dalla Danimarca. Cerco di migliorare questa caratteristica in questa maniera guardando le partite e le mie azioni. Qual è il giocatore più difficile a cui togliere il pallone? È difficile da dire: ci sono così tanti giocatori bravi nel campionato che è difficile rispondere”. Prosegue Thorsby, che racconta di prendere tanto spunto dallo stesso Frendrup, ma di dover migliorare sul fronte dei contrasti e dei falli visto che i contatti, oggi, vengono fischiati di più. “Non mi sono abituato alle nuove regole, però ci si deve adattare e provare. C’è anche differenza da arbitro ad arbitro, c’è chi fischia di più. Si studia anche quello. Cambio il mio modo di giocare”.
Si passa, poi, a parlare del Ferraris e della spinta che dà. “Il Ferraris, a livello di pubblico, è al top in Italia – dice Pinamonti – I tifosi sono fantastici e per forza di cose ti portano a dare qualcosa in più. Quando hai tutto uno stadio che ti incita e applaude così, quando sei morto scopri di avere qualche energia in più che non pensavi di avere. Quando entro, so di dover fare tanto lavoro difensivo. La squadra ha bisogno anche di quello e non mi tiro indietro. Mi hanno spesso criticato perché spendevo troppe energie in corse inutili e nel tempo ho imparato quali fossero le corse utili. Sto migliorando, ho ancora tanto da migliorare, ma nel calcio tutti devono aiutare la squadra. Prima si considerava l’attaccante boa davanti, ma nel calcio di oggi è impossibile giocare con un giocatore in meno in fase difensiva”.
Alla domanda sul momento più difficile della carriera, Pinamonti non si tira indietro: “Il mio è stato qui a Genova, nella mia prima esperienza. Sono arrivato qui con tantissime aspettative, esagerate, e tutti si aspettavano qualcosa che non ero in grado di fare perché avevo poche presenze ed esperienza. C’erano tante aspettative: quando arrivai, l’ambizione era di andare in Europa e alla fine ci salvammo all’ultima giornata. Per assurdo, in quel momento lì preferivo giocare fuori casa che in casa. Adesso è esattamente il contrario e non vedo l’ora di essere al Ferraris. Se ho mai pensato di dire “basta”? No, quello no. Un pregio che mi ricnosco è che di testa riesco a scrollarmi le cose di dosso. non arriverò mai ad un punto del genere, a mettere da parte la mia passione”. “Per me i primi sei mesi qui al Genoa, prima esperienza fuori dalla Danimarca, senza famiglia, amici e con una nuova lingua, era difficile” – aggiunge Frendrup – “Ero qui con la mia ragazza, ma ero anche molto giovane”. “Per me tre anni fa, quando giocavo in Germania – conclude Thorsby – Avevo tanti problemi fisici, un anno pieno di difficoltà che mi ha dimostrato come la salute venisse prima di tutto. La salute viene prima, senza quella non puoi fare niente. Meno male che i problemi si sono risolti e adesso sono contento di stare bene, perché ovviamente ti permette di rendere di più. Paura di smettere no, ma quando da giovane pensi di essere immortale e dopo arrivavano tanti problemi tutti allo stesso tempo, diventa difficile comprendere la prima volta. Non ho mai pensato di fermarmi”.
Pinamonti, nel parlare della figura del mental coach, aggiunge: “Non ho un mental coach, ma se mi dicessero che serve per arrivare in Nazionale, lo prenderei subito (sorride, ndr). Al momento non ne sento la necessità particolare, ma non ne escludo un utilizzo. La nazionale? È un mio obiettivo, certo. Abbiamo però un fine campionato molto impegnativo, il nostro obiettivo è la salvezza e voglio fare più gol possibile“. Frendrup e Thorsby, invece, raccontano di avere un mental coach e ne sottolineano l’importanza sulle loro carriera. “Sono contento che questo argomento della salute mentale sia un po’ meno tabù, non ho problemi a dire che lo utilizzo e che per me è molto importante” sottolinea il norvegese rossoblù.
Arriva poi un passaggio sul rapporto con i social: “Io torno ancora al primo anno qui a Genova e penso che per colpa mia andavo a leggere i commenti su di me e anche se mi ripetevo di non dar peso, qualcosa ti tolgono. Con i social tutti si sentono in diritto di scrivere qualsiasi cosa e non si sa manco chi è che scrive e questa cosa toglie, non c’è limite a niente. Da quell’anno lì ho tolto questa cosa da me stesso, non leggo praticamente niente: né nel bene né nel male. Penso sia una cosa che toglie e basta. Ovviamente uso i social anche io, ma credo che servirebbe fare qualcosa perché è una cosa con troppa cattiveria e troppa gente negativa. Bisognerebbe accantonare queste cose qui“, interviene Pinamonti. La parola passa a Frendrup che risponde: “Penso che oggi sia molto facile andare su internet e scrivere qualcosa. I calciatori sanno che i tifosi sono guidati dall’emotività. Penso sia importante non dare troppo peso a ciò che si legge sui social perché ognuno può avere la propria opinione su di te. Cerco di non leggere, ma a volte capita di darlo. L’importante è non dargli troppo peso“. Anche Thorsby si dice d’accordo con i compagni: “Non ho mai visto nessuno che è venuto da me a dirmi qualcosa in faccia, fino a quando non succede non vuol dire tanto“.
Dalle opinioni sui tifosi ai giudizi dei giornali: “Le pagelle non le ho mai lette – dice Pinamonti -, anche i giornali possono scrivere quello che vogliono. Lì sono opinioni, può piacere o meno ma anche i giornali non possono permettersi di scrivere un insulto ad un giocatore. Non leggo le pagelle, ma anche se fosse non mi darebbe fastidio. E’ una cosa completamente diversa“. Parla Frendrup: “Tutti hanno un’opinione su come stai giocando. Penso sia importante ascoltare le persone vicine a te, l’allenatore o persone così. Questo è molto importante per noi al Genoa“.
“Cosa ha portato Vieira? Tanti punti sicuramente“, risponde Pinamonti che aggiunge: “E poi un mentalità diversa, molto aperta con cui puoi avere un grande rapporto nel parlare di qualsiasi cosa. E un po’ di serenità, era un momento in cui ne avevamo bisogno dopo un inizio non proprio felice. Scherza molto, all’inizio non pensavo. E’ molto serio quando si lavora, ma nei tempi morti e liberi scherza molto e ha sempre il sorriso“.