Davide Ballardini, per tutti Zio Balla, e quell’affetto che lo lega al Genoa, anche oggi che il calcio è vissuto a distanza e senza tifosi. È un fuoco dentro che non si spegne mai. Questo più di tutti gli altri temi trattati è emerso dalla recente intervista concessa a Buoncalcioatutti dal tecnico rossoblu, direttamente dalla sede del Tower Hotel di Genova Aeroporto, in una giornata culminata poi con la visita dello stesso Ballardini alla Madonna della Guardia per portare il saluto e gli auguri pasquali a Monsignor Granara, conoscenza di vecchia data dell’allenatore rossoblu e sempre pronto a fornire l’assist per spunti e riflessioni interessanti. Nel calcio e nella vita.

Cosa vuol dire essere “Zio Balla” per i tifosi del Genoa? Ormai ha raggiunto un grado di parentela inedito, mai avuto neanche dagli allenatori del passato in rossoblu

“Per me è profonda stima, rispetto e tanto tanto affetto. Questo per me è il significato”. 

Due anni lontano dal Genoa a vedere calcio dal vivo: che cosa hai scoperto di nuovo? 

“In questi due anni abbiamo avuto più di una possibilità per tornare ad allenare, ma mi sembrava non fosse l’occasione giusta. Siamo andati molto in giro per l’Europa, abbiamo visto partite del campionato italiano ma siamo stati anche in Austria, Germania, Inghilterra e Francia. Abbiamo girato l’Europa e abbiamo visto come si lavora all’estero. Il calcio si evolve sempre, la passione e la curiosità ti portano a vedere tutti i cambiamenti, a gioire, godere ed allenare in modo diverso rispetto a prima. Aiutano a preparare le partite diversamente rispetto a prima”. 


Con il Covid-19 che campionato è stato e che campionato sarà? 

“Un campionato diverso per tutti. Chiaro che lo sia. Lo è un po’ di più per quelle squadre come il Genoa che hanno tanta passione e affetto attorno a sé. Il nostro stadio si fa sentire più di altri. Per quanto riguarda il campionato, è stranissimo e difficilissimo, perché molto equilibrato ma con grandi realtà che oggi stanno facendo un po’ più di fatica. Di qui alla fine? Sarà ancora più complicato”.

Qual è stato il segreto dal suo arrivo e quello dello staff? “Fare il proprio lavoro e portare le proprie idee” o c’è anche qualcosa di diverso?

“A parte questo, allora, non so quale sia il segreto. Perché più di questo non sappiamo fare. Noi arriviamo, siamo questi e portiamo le nostre idee. Come ho detto cerchiamo di migliorarci nell’idea che abbiamo, di svilupparla al meglio, e cerchiamo di formare una squadra che abbia principi solidi, che sappia cosa fare quando è in possesso di palla e quando la palla ce l’hanno gli altri. Per me il segreto è questo, altri non ne conosco”. 

Ha favorito la buona miscela anche la sintonia con la vecchia guardia del Genoa? “Nomi di campo” come Murgita, Pilati, Scarpi, Gatto, Stellatelli

“Per me è riduttivo. Sappiamo fare il nostro mestiere, come a questo livello lo sanno far tutti. Come detto prima, pensiamo di essere persone perbene e di aver valori importanti. Noi trasmettiamo tutto questo e, una volta arrivati con persone come Carlo Regno, Stefano Melandri e Roberto Beni, al Genoa abbiamo la fortuna di conoscere altre persone altrettanto serie e capaci, molto capaci. Questo gruppo di lavoro ti porta a fare bene durante la settimana e portare quel che si è fatto anche in partita”.

Marroccu, come direttore sportivo, recepisce le stesse idee dell’allenatore?

“È certamente una persona capace, certamente una persona di spessore importante. Credo proprio che sia in totale sintonia con lo staff tecnico e con il gruppo dirigenziale”.

La presenza di Preziosi in tutte le gare, in casa e fuori casa, cosa vi dà? L’abbiamo anche visto soffrire in tribuna

“Prima di tutto è il presidente. Quando la squadra e lo staff vedono la presenza del presidente sono contenti di averlo lì, perché vuol dire che tu sei importante, che lui ti dà importanza e che cerchi di ricambiarla con il meglio che in quel momento puoi dare”.

Lei e il suo staff siete maestri nel leggere le partite e anticipare gli avversari

“Per me non è così. Succede che fai o più sostituzioni pensando di essere nel giusto, ma in realtà non sempre lo sei. A volte poi ti va bene o meno bene, ma penso che la prestazione sia figlia di tante altre cose e non di un cambio più o meno azzeccato. Non è quello che ti porta al risultato. Il mio staff parla spessissimo con i giocatori? Questo lo fanno tutti gli allenatori e tutti gli staff. Ognuno ha il suo metodo, ma le conoscenze sono elevatissime: parlo di tutti i miei colleghi. Poi è chiaro che l’allenatore e i suoi collaboratori abbiano il loro carattere e il loro modo di porsi con i giocatori”.

Nell’era delle cinque sostituzioni, Ballardini è l’unico a farne 2-3 all’intervallo. Come mai?

“Sono l’unico? Non lo so. Magari capita di vedere che le cose non vanno come vorresti e provi a cambiarle. A volte ne abbiamo cambiati 5 o 6, a volte 4. Dipende dal momento, da come ti senti e da come vedi la squadra. Ma questo, ripeto, lo fanno tutti”.

Qual è il pensiero di Ballardini sulla costruzione dal basso?

“Il mio pensiero è che sia giusto prepararsi a costruire dal basso, con il portiere, poi è chiaro che se la difesa viene ad aggredirti uomo contro uomo davanti, con i due attaccanti, tu hai una parità numerica, Per me, una volta che hai attirato gli avversari nella tua metà campo e ne hai un’altra – quella avversaria – libera, hai una parità numerica che puoi sfruttare. Poi dipende anche dalla bravura degli avversari: se vengono a chiuderti bene non è facile uscire puliti da una pressione così aggressiva nella tua metà campo. Per me si può anche perdere la palla, ma è importante sapere dove la andrai eventualmente a riprendere Se la perdi in alcune zone di campo corri tanti rischi, in altre ne corri un po’ meno. E magari potrai poi andare sulla seconda palla per cercare di riconquistarla vicino alla porta avversaria”.

L’unica squadra rimasta in Europa è la Roma. Ma all’estero giocano davvero il pallone più velocemente di noi?

“La premessa è che il calcio italiano è sempre competitivo, perché quando ci affrontano gli altri fanno sempre fatica. Detto questo, in linea generale penso che noi siamo mediamente più indietro rispetto ad altri campionati a livello di gamba, qualità ed intensità”. 

Per quali ragioni scegli di cambiare ruolo ad un giocatore? L’ultimo, ad esempio, Radovanovic

“Fai le tue valutazioni in base alle caratteristiche tecniche, tattiche, fisiche e comportamentali. Quando pensi che un ruolo sia più giusto di un altro, le condividi con il giocatore e cerchi di trarre il meglio da lui”.

Ci racconti cosa intendi con 3-3-1-3? 

“È un modo, penso, per esaltare le caratteristiche dei giocatori, ma non è facile trovarne di così adatti per quella disposizione, un modulo che prevede tanta qualità, intensità, gamba forte e senso tattico. Il 3-3-1-3 è pensato per chi ha attaccanti esterni bravi nell’uno contro uno, un centravanti o una mezza punta, difensori bravi nella lettura delle situazioni di gioco”.

Klopp dice che il suo gioco è fatto di organizzazione che moltiplica le capacità individuali anche di chi ne è fornito meno. Ha ragione? 

“Penso proprio di sì. Tu come allenatore dai un canovaccio e un’organizzazione alla squadra proprio perché vuoi esaltare le qualità di ognuno e vuoi che ogni giocatore sia sempre pronto per aiutare il compagno. Tu dai forza alla squadra e allo stesso tempo prendi forza dalla squadra. Poi contano i principi e gli allenamenti. Conta molto la testa, quanto sei squadra. Conta la voglia di fare tanta fatica e tanti altri aspetti. Credo che il Genoa sia davvero serio e bravo nel fare del proprio meglio”. 

Per comporre buone squadre, conta prima l’uomo o il giocatore? 

“Certamente prima l’uomo”.

Da cosa dipende la riuscita buona del pressing? 

“Dipende dall’essere organizzati. La definizione parla di due e più giocatori che chiudono in maniera organizzata chi ha la palla e chi la può ricevere. Il pressing si può dire che sia una chiusura organizzata di squadra”.

I tuoi attaccanti vanno in doppia cifra. Da Piatek a Borriello, qual è la strategia?

“Tu li sostieni e cerchi di metterli nelle condizioni migliori per segnare. Poi ci sono i meriti di squadra nel costruire e fargli arrivare la palla”.

L’ultima di Allegri a SkySport: ha detto che gli allenatori più bravi sono quelli che oltre a fare risultati creano valore. Allora lei, mister, è la “plusvalenza” di Preziosi considerati tutti i giocatori che ha lanciato ultimamente.

“Credo che questo sia il compito di tutti gli allenatori. Poi a volte ci riesci bene, altre volte ci riesci meno, ma questo è il compito di tutti gli allenatori che lavorano dalla Serie A in su e viceversa”.

Un saluto finale da Ballardini a tutti i nostri lettori con annessi gli auguri di Buona Pasqua. “Auguro, innanzitutto a chi vuol bene al Genoa, di passare una Pasqua serena. Ma non solo a loro, lo auguro a chi ci vuol bene, ma anche a tutte le persone che in questo momento ci stanno guardando o ci stanno leggendo”. 

Al termine dell’intervista con mister Ballardini in un rapido flash abbiamo potuto anche approfondire – dopo averne evidenziato la presenza nel nuovo staff già a poche ore dall’ufficialità del quarto ritorno di Ballardini – chi sia Roberto Beni, collaboratore del tecnico rossoblu che ogni gara si dà da fare per comunicare soprattutto con Eldor Shomurodov dandogli indicazioni su cosa fare e non fare sul rettangolo verde.

È per cercare di migliorare il mio inglese spiega sorridendo Beni – in realtà cerco di dargli queste due notizie giuste, anche se lui non ne ha grande bisogno: è un ragazzo che si impegna molto e dà in mezzo al campo. Ha solo bisogno di essere aiutato. Il mio curriculum calcistico e come ho conosciuto Ballardini? Ho lavorato con lui a San Benedetto del Tronto, poi a Cagliari e Pescara. Successivamente, non avendo il patentino per fare il secondo, ho allenato tre anni in Interregionale per poter prendere il patentino. Dopo ho lavorato otto anni come secondo di Colantuono e ho fatto due anni nella Primavera della Salernitana e a Rieti per conto mio. Quest’anno ho avuto la fortuna di poter lavorare con lui e tutto il suo staff e di questo gliene sono veramente grato. Sono contentissimo di essere qui“.