Se la domanda ricorrente è per quale motivo la sfida più attesa a Genova sia stata programmata di lunedì, anziché nel weekend, la risposta non può essere una maratona prevista per la mattinata di domenica 14 aprile. Piuttosto, questa risposta potrebbe essere tranquillamente fornita ponendo un secondo quesito. A quando risale l’ultimo Derby della Lanterna giocato alla domenica sera?
Risale esattamente a più di quattro anni fa. Era il 28 settembre 2014 e si disputava l’andata (derby vinto dalla Sampdoria con gol di Gabbiadini, ndr). Per rintracciare invece l’ultima stracittadina giocata di lunedì sera bisogna andare al 3 febbraio 2014, quando si giocò il derby di ritorno della stagione 2013/2014. Tanto per intendersi, quello deciso da una rete di Maxi Lopez. Ma ad essere onesti fu un derby “digerito” al lunedì solamente perché quella era l’ultima opzione pur di evitare che si giocasse alle 12,30 della domenica, peraltro in concomitanza con la Fiera di Sant’Agata. Le due tifoserie annunciarono stadio vuoto e vibranti proteste, la Lega alla fine tornò sui propri passi. In quel caso, il derby all’ora di pranzo era stato definito “un’offesa“. In questo caso, quello di aprile sarebbe il primo derby della Lanterna deciso a tavolino al lunedì sera.
Sfogliando gli almanacchi, degli ultimi venti derby giocati solamente la metà si sono disputati di domenica. In barba al calcio che faceva della domenica il suo giorno per eccellenza. E l’ultima volta che Genoa e Sampdoria si sono affrontate alla domenica sera è stato 1619 giorni fa rispetto alla data di questo editoriale. In assoluto, nelle ultime cinque stagioni, soltanto tre volte la stracittadina si è giocata alla domenica, giornata votata al calcio dalla notte dei tempi. Specialmente a Genova.
Qualche domanda allora bisogna farsela intorno a questo calcio, che per ragioni di denaro è ormai incapace di delineare un weekend di partite (di campionato) senza estendersi al lunedì, a quel monday night diventato imprescindibile in Serie A dalla stagione 2010/2011. Esistono coincidenze di eventi o condizioni meteo impietose che possono causare slittamenti, e lo stesso derby di Genova ne sa qualcosa. Ma questa volta il posticipo al lunedì per privilegiare Frosinone-Inter alla domenica sera non ha veramente logica. O almeno non ce l’ha per i tifosi rossoblucerchiati e per l’amministrazione locale, che da agosto scorso aveva espressamente chiesto di nonn giocare più in infrasettimanale, mentre la Lega ha fatto un ragionamento di natura europea per venire incontro a televisioni ed eventuali impegni europei: al sabato e alla domenica sera andranno sfide che riguardano le italiane ancora in corsa in Europa. Lo spiraglio di un cambio di programma c’è nella misura in cui fra due settimane una fra Inter e Napoli fosse fuori dall’Europa League.
Le proteste, quelle già arrivate e quelle che arriveranno, sono comunque più che legittime e procedono all’indirizzo di un calcio che, negli ultimi anni, sembra aver perduto la bussola. Oltre tutto Genova si conferma l’ennesimo laboratorio per testare la duttilità dei broadcaster televisivi, da quest’estate entrati a gamba tesa sulla Serie A con investimenti che supereranno il miliardo di euro all’anno.
Vista la scelta di posticipare il derby, ieri la domanda più ricorrente era: ma come è possibile che in Liga e Bundesliga stiano lottando, società e tifoserie, per abolire il calcio al lunedì e in Italia, invece, spostano una sfida di cartello proprio nella serata di lunedì? È possibile nella misura in cui si voglia dare o meno ascolto ai tifosi, che in alcuni casi hanno manifestato il loro malessere con iniziative eclatanti. Un anno fa partite dalla Germania, con gare sospese o ritardate nell’inizio, sono arrivate fino in Spagna sulla scia dei successi del tifo tedesco nei confronti della federcalcio locale, che ha rivisto le varie clausole degli accordi televisivi per abolire la gara del lunedì sera. E proprio in Spagna è maturata l’ultima, simbolica protesta: un settore vuoto e uno striscione allestito dai tifosi dell’Alavès al grido di “Spegni la tv, salva il calcio“.
https://twitter.com/luisrubiales/status/1101465923293196288?s=21
Per rispondere a queste proteste, dalla Spagna, è arrivata una frase emblematica. A pronunciarla l’alter ego spagnolo del nostro Gabriele Gravina, Luis Rubiales, che ha affidato a Twitter l’annuncio tanto atteso: dalla prossima stagione di Liga le partite saranno solamente di sabato e domenica. L’annuncio è arrivato attraverso una frase forte: “El negòcio es importante pero mas los aficionados” (“gli affari sono importanti, ma di più lo sono i tifosi“). Un’ammissione che da questo calcio business non si torna più indietro (troppo vitale per i bilanci societari di tutta Europa), ma la via della mediazione è ancora possibile e può portare all’addio, dopo sole nove stagioni, di tradizioni sportive come il monday night importate dall’estero, dove nacquero negli anni Settanta.
Anteporre il tifo agli affari, in Italia, sembra però diventato un miraggio. Basta pensare al teatrino estivo intorno ai diritti televisivi, che peraltro dovevano essere acquisiti da quel MediaPro che, in Spagna, avrebbe teso la mano ai club più penalizzati dal giocare con frequenza di lunedì sera. Per esempio, la Real Sociedad (7 partite al venerdì, 4 al lunedì da inizio stagione) e l’Athletic Bilbao (2 al venerdì, 8 al lunedì). Ma ancora Girona, Levante, Leganes, Celta Vigo e pressoché due terzi della Liga spagnola. Ad aver giocato meno di lunedì sono state le spagnole impegnate in Europa, dal Valencia all’Atletico Madrid passando per Siviglia, Barcellona e Real. Club che, come erroneamente qualcuno ieri scriveva, non sono affatto quelli a chiedere un’abolizione dei monday night essendo pressoché immuni dalle gare del lunedì sera. Questo strappo fra chi domina la Liga da anni e chi cerca di sopravvivere diventa palese all’interno di un comunicato apparso nei giorni scorsi. Un comunicato congiunto fra tifosi di Girona, Deportivo La Coruña, Alcorcon, Leganes, Levante e Rayo Vallecano tra le cui righe si legge: “abbiamo lo stesso diritto di chi sta in cima alla classifica di poter godere dei nostri colori in orari quotidiani“, là dove per “quotidiani” si intende orari “umani” e che rispettino quelli lavorativi.
Un messaggio chiaro per quelli che il calcio vogliono ancora viverlo dentro uno stadio. Un messaggio che, per adesso, viene rimbalzato tra tifoserie, ma che potrebbe estendersi alle società di calcio, le quali in molti casi si stanno rendendo conto che qualcosa del fascino avvertito dentro gli stadi sta venendo a mancare. Lo testimonia una delle ultime iniziative del Manchester United, che vuole destinare un settore dello stadio a chi vuole cantare. A soli 1200 tifosi, scelti attraverso un casting, che potranno assistere alla partita solamente se canteranno dall’inizio alla fine. Una spettacolarizzazione del calcio portata dentro il Teatro dei Sogni, l’Old Trafford, e non sul divano di casa.