Dopo aver trasformato il calcio italiano, dal 2017/2018, in “Blade Runner”, cacciatore non di androidi ma di falli, a avergli fatto fare da cavia per il VAR prima degli altri campionati in Europa, considerato che il campionato italiano usciva da anni di battaglia alla moviola, c’è da chiedersi: a chi è servito dopo 7 anni?
A nessuno, e in questa stagione calcistica 2023/2024 la tecnologia giornata dopo giornata si è trasformata in una moviola in campo e non solo nei talkshow. Il VAR ha funzionato non per merito dei direttori di gara o degli assistenti per quanto riguarda la regola del fuorigioco grazie all’intelligenza artificiale denominata limb-tracking tecnology, in grado di tracciare i dati degli arti e del pallone fornendo un segnale di fuorigioco di centimetri di testa, braccia, piedi agli ufficiali video. Altra operazione che ha funzionato sul terreno di gioco la goal-line, sistema che permette di capire se il pallone ha superato la linea di porta interamente grazie a telecamere ad alta velocità e campi elettromagnetici, segnalando subito all’orologio di colore rosso al polso del direttore di gara se è gol o no.
Sulla Regola 12, Falli e Scorrettezze, non solamente dentro l’area di rigore ma in tutti 110 metri di campo, non è successo assolutamente nulla, in particolare sui falli di mano o di braccia dove l’interpretazione di volontarietà, l’andare con l’arto verso il pallone o viceversa, è come un elastico utilizzato senza uniformità dai direttori di gara e soprattutto da VMO, i professionisti del VAR.
Alla luce di quello che succede nelle gare di questo campionato in ogni giornata calcistica, il VAR non è più a discrezione dell’arbitro e del varrista di turno. Una interruzione con chiamata davanti alla TV o non chiamata, comunque la si veda, non azzera gli errori né il dibattito. Viceversa, lo spalanca.
Il direttore di gara non è più al centro del villaggio. Il calcio non è più creatività se si valutano col VAR il centimetro o il tocco di mano solamente in Serie A e Serie B e poi, in tutti gli altri campionati dalla Serie C in giù, le partite sono dirette alla vecchia maniera.
Nelle sezioni arbitrali come ai tempi di Pieri, Agnolin e altri non c’è più una scuola arbitrale nella quale insegnino al direttore di gara a prendersi le proprie responsabilità. Come? Utilizzando tutti i sensi, annusando i calciatori, sentendo parlare, vedendo le loro smorfie, percependo cose che al VAR e nei replay rallentati si alterano.
Il VAR era nato per certificare falli dentro o fuori dell’area di rigore, scambi di persona in occasione di gialli e rossi, gol irregolari, rigori non visti. Le telecamere dovevano certificare errori importanti e la tecnologia artificiale doveva servire a quello. Invece, attualmente non c’è più la distinzione da parte di quelli con il fischietto in bocca tra gioco falloso e condotta violenta. Ognuno utilizza i cartellini in modo non congruo o uniforme facendosi correggere dal VAR che non può avere la percezione di una azione a velocità normale. Rallentando ogni entrata in tackle si prenderà sicuramente una gamba dell’avversario. Altro problema è il fatto che, anche se con gli auricolari, assistenti e quarto uomo spesso sono come le tre scimmiette: “non vedo, non sento, non parlo“.
Nel presentare l’analisi del campionato al giro di boa abbiamo utilizzato termini marinareschi e anche per Rocchi il designatore di Serie A e B ne scriviamo uno: tirare i remi in barca. Sì, tirare i remi in barca considerato che la sua classe arbitrale – e soprattutto quelli del VMO, gli specialisti del VAR – si trova davanti a difficoltà così grandi da rendere vano ogni sforzo.
Rocchi e i suoi collaboratori non possono smettere di combattere in attesa che tutto passi, il girone di ritorno continuando con l’andazzo e gli errori grossolani sui falli di mano da parte degli arbitri, oltre che sui falli dentro e fuori dei 16 metri, gli errori di arbitri e VAR possono decidere la classifica in testa, alla corsa per l’Europa e in fondo. Il problema VAR, già scritto parecchie volte, è un “varicocele” che va avanti da troppo tempo.
Dei 14 specialisti del VAR solamente in tre hanno fatto una carriera arbitrale degna di nota: Irrati, Mazzoleni e Valeri. Gli altri 11 (Abbattista, Gariglio, Marini, Miele, Serra, Di Martino, Nasca, Di Paolo, Maggioni, Meraviglia e Paterna, escludendo quelli provenienti dal ruolo di assistenti) sono arrivati al VAR dalla porta di servizio dopo essere stati mandati a casa per motivi tecnici con il fischietto in bocca e non per limiti di età.
Soluzioni non se vedono all’orizzonte: è evidente che quelli in campo hanno poca fiducia nel VAR e quelli davanti ai monitor, oltre alla sudditanza psicologica nei fischietti internazionali già affermati, non hanno gli attributi arbitrali per segnalare quello che prescrive il Regolamento.
L’IFAB (l’organismo che decide le 17 regole che dovrebbero governare il gioco del calcio), deciderà qualcosa in Primavera. Oltre il tempo effettivo di gara, i falli di mano dove ritornerà come minimo la “volontarietà” e il fatto di andare incontro al pallone con l’arto, il ritorno al Fuorigioco dove si annullavano i gol solo quando il corpo del calciatore che attaccava superava interamente l’avversario, la cosiddetta “zona luce” tra due giocatori, evitando i fuorigioco per millimetri e centimetri.
Il VAR non funziona male solo in Italia, ma anche negli altri campionati europei e quasi certamente l’IFAB permetterà alle panchine, nel prossimo marzo e per i prossimi campionati, di richiedere una sola volta per tempo la revisione dell’azione.
In questo girone di ritorno l’unica mossa a disposizione di Rocchi, considerato che ormai si gioca dal venerdì al lunedì, è inviare dietro le TV coloro che sono più pronti e portati a decidere e portare a termine una gara assegnandogliene più di una. Oppure chiedere a Collina e Rosetti, i capi arbitri di FIFA e UEFA, arbitri internazionali in arrivo dall’estero per fare i VMO.
Invece la FIGC e la Lega Serie A sono d’accordo con l’AIA, senza infrangere le regole IFAB: chiedere agli arbitri di accettare sempre una volta per tempo, senza sceneggiate dei calciatori, la revisione dell’azione richiesta in modo civile dal capitano della squadra, anche se il VAR non lo richiama per una review davanti al monitor.