Continuiamo la nostra analisi sul campionato appena concluso con le parole di Antonio Giordano, firma dei Corriere dello Sport, fresco di finale di Europa League a Baku, in Azerbaigian.

Un tuo giudizio sul campionato appena concluso? C’è stata qualche novità?

“La Juventus è ancora la più forte, il Napoli la prima di un altro campionato spaccato in tanti tronconi, tutti avvincenti sino alla fine. Questo campionato ha detto che ci vuole lungimiranza, quella che non ha avuto il Genoa, che una volta ceduto Piatek ha rischiato di andare in Serie B. E ci sarebbe finito se fosse cambiato qualcosa nel destino dell’Empoli. Anche in coda è possibile inseguire la salvezza e l’Empoli è il manifesto meraviglioso di un’organizzazione calcistica che va riconosciuta ad Andreazzoli e, purtroppo, anche la testimonianza che nel calcio ci vuole un po’ di fortuna. Poche volte si è visto quello che si è visto a San Siro all’ultima giornata di campionato”.

L’Atalanta è stata la rivelazione di questo campionato, anche se di sorpresa ormai non si può più parlare

“Non mi ero colpevolmente dimenticato dell’Atalanta, che non è più un miracolo. Da tempo è una grande protagonista del calcio italiano, ha uno dei migliori allenatori in circolazione sotto il profilo tecnico ed è la rappresentazione vivente della parola “progetto tecnico”. Parola di cui spesso si abusa un po’ troppo. L’Atalanta ha giocato il calcio più europeo d’Italia, è una squadra che ti incolla alla partita e ti invita a non perdertene un attimo. L’Atalanta conferma la preparazione di Gasperini, che troppo colpevolmente il calcio italiano si è dimenticato. Credo abbia fatto bene a riconoscere a sé stesso e a Percassi la consistenza di una filosofia che meritava di andare avanti attraverso la sua figura”. 

Il bilancio del VAR?

“Intanto sia santo e benedetto, ma sia santo e benedetto se decidono di usarlo. E quando lo usano, devono farlo seriamente. E quando lo fanno seriamente devono andarci a guardare. Posso accettare l’errore per qualche millimetro, non posso accettare errori che sono stati evidenti e che inducono a pensare male. La strada maestra è questa: il VAR non si può ormai abbandonare, ma bisogna lasciare che il calcio non abbia più zone d’ombra. In passato ce ne sono state molte: riguardavo Milan-Liverpool da 3-0 a 3-3 e pensavo che se ci fosse stato il VAR, forse il Milan l’avrebbe vinta quella finale di Champions. Non possiamo più vivere in questa condizione di precarietà, col VAR possiamo vedere oltre il nostro naso e oltre una bugia”. 

Hai assistito alla finale di Baku: cosa differenzia il nostro calcio rispetto a quello inglese oggi?

“Partita meravigliosa, con dentro varie anime: una spaccata, più dell’Arsenal, poi una seconda mezz’ora di gioco tutta del Chelsea. Devo dire che ha avuto contenuti diversi da quelli delle gare classiche dove la paura la domina. Il risultato lo dimostra. Il calcio inglese è troppo oltre dal resto del mondo, ma perché l’Inghilterra è lontana dal resto del mondo. Dobbiamo prenderne atto. Hanno una civiltà che contribuisce a renderli migliori, a rendere migliore l’ambientazione del calcio inglese: ma il calcio inglese ha bisogno del calcio europeo e degli allenatori europei. Quattro inglesi vanno in finale di Europa League e Champions con quattro figure autorevoli con Kloop che è un tedesco, Sarri che è un italiano, Emery che è uno spagnolo. Vuol dire che loro senza noi non possono vivere, e noi senza di loro. Vuol dire che esiste anche una meritocrazia governata da leggi obsolete, che oggi premiano un uomo che se l’è cercata e che colpevolmente il calcio italiano ha ignorato per 60 anni: Maurizio Sarri. Lui ha dentro di sé l’emblema del fuoriclasse”.


Serie A, il bilancio di Enrico Currò (Repubblica): “Non è stato un campionato memorabile”