Nell’Uovo Pasquale anche il Milan, dopo il lungo travaglio-closing, è passato ai cinesi. Il Diavolo è di proprietà di Li Yonghong e della Rossoneri Sport Investiment Lux, unendosi al biscione interista che dallo scorso giugno è di proprietà di altri cinesi, che sulla carta appaiono più potenti essendo Zhang Jindong capo della conglomerata Suning.
Gli investimenti cinesi nel calcio europeo comprendono anche i diritti televisivi. Il gruppo dell’Inter Suning si è aggiudicato a fine marzo i diritti della Bundesliga e sta portando avanti accordi con la Liga spagnola e la Premier Inglese acquistando tramite la propria piattaforma Pptv l’esclusiva per tre anni dal 2019/2020 per una cifra di 660 milioni di dollari. Un altro gruppo di Wang Jianlin a febbraio 2015 era diventato proprietario dei diritti della serie A con l’acquisto del gruppo svizzero Infront.
Ultimamente i cinesi stupiscono perché dopo Atletico Madrid, Manchester City, Aston Villa, WBA e Wolverhampton, con la fame di calcio i cinesi stanno per acquisire anche una squadra di seconda divisione inglese, il Brentford.
Pechino nel 2016 ha provato a frenare sulle acquisizioni calcistiche, cercando di mettere un freno alle acquisizioni tramite la Banca, Commissione Nazionale dello sviluppo, facente capo al Ministero del commercio cinese, ma ultimamente hanno fatto marcia indietro, in particolare sul calcio, e Pan Gongsheng, capo dell’amministrazione del Foreign exchange cinese, colui che deve dare l’ok all’uscita di capitali, ha detto: “Se queste acquisizioni possono aiutare ad aiutare e migliorare lo standard del calcio cinese, allora penso che siano una buona cosa”.
Rispetto al 2016 il partito comunista cinese, che teme di perdere il consenso sul quale si regge la propria legittimità a governare, ha voluto darsi non solo una matrice etica ma anche essere a conoscenza di come vengono trasferiti all’estero beni o capitali da parte di aziende cinesi chiedendo agli investitori di non essere irrazionali negli investimenti all’estero, aumentando i controlli sulla loro regolarità. Una delle vittime è stato il Milan perché proprietà di Berlusconi.
L’acquisizione di squadre all’estero con relativa frenata non ha tuttavia fermato l’acquisto di calciatori stranieri, operazione che non richiede le autorizzazioni necessarie come nel caso di un investimento estero. Nel 2016/2017, sono stati sborsati 396 milioni per assicurarsi le prestazioni di campioni stranieri superando le cifre della Premier League.
A fare la parte del leone è la metropoli Shanghai che ha sedotto e continuerà a sedurre i fuoriclasse con ingaggi faraonici: il più famoso è quello di Tevez che guadagna 770 mila dollari alla settimana (38 milioni netti a stagione).
Probabilmente per i calciatori è finita la cuccagna ad alte cifre perché dallo scorso gennaio è stato messo un tetto agli ingaggi rispetto all’Europa e all’Italia. Sarebbe comunque troppo facile, non essendo analisti di cifre e di mercati, dire che i cinesi sono ingenui o altro. Il loro obiettivo, essendo pazzi di calcio, coi tifosi che aumentano giorno dopo giorno dopo che nel 1978, un anno dopo la fine della Rivoluzione culturale, hanno iniziato a vedere calcio mondiale con la Coppa Rimet, è di sviluppare calcio. Attenzione, non si tratta solo investire in squadre e calciatori ma vincere dopo l’anno 2020 qualcosa a livello mondiale, coltivare campioni che possano giocare nella nazionale cinese, allenata oggi da Marcello Lippi, creare 50mila nuove scuole calcio entro il 2025. Saiù facile in futuro l’ingaggio di allenatori con patentino di Uefa A e B.
L’Italia per quanto riguarda il calcio non è ben vista in Cina dove si vuole investire in altri settori, dalla robotica all’ambiente, dalla meccanica al farmaceutico, per lo più in operazioni non contemplate dalle misure restrittive sull’esportazione di capitali, che riguardano invece investimenti poco credibili come nel calcio, specialmente quello italiano dove il business fuori dal prato verde non c’è e non attacca e gli stadi già obsoleti sono vuoti.
Alla Cina piacerebbe investire anche in altri progetti avendo anche un tornaconto. Genova, più che il Genoa, è già stata al centro di trattive importanti per l’acquisizione di una parte del porto per espandere tramite container il suo commercio. Qualche esponente di spicco del porto, di cuore genoano, ci ha provato, sempre frenato dalle famiglie dello shipping genovese, a proporre anche il Vecchio Balordo ma i cinesi hanno risposto picche: senza spazi nel porto, niente Genoa.
Il calcio italiano, come anche tante le altre attività italiane, è in ritardo e la fame di calcio da mangiare con le bacchette, se non avrà una svolta con la rimodernizzazione degli stadi, probabilmente non sarà sfamata lungo lo Stivale.
L’unica preoccupazione della Lega Italiana di calcio sono i diritti Tv ma per averne di più dovranno giocare a mezzogiorno – non solo la domenica – e pure gli altri giorni, compresi quelli non lavorativi cinesi.
Juve, Milan, Inter, Roma, Napoli e qualche altro team in Lega fanno la voce grossa perché sanno e hanno già capito che entro il 2019 ci sarà un campionato Europeo ad alto livello con le sorelle tedesche, inglesi, spagnole a 18 squadre da vendere in oriente, non solo in Cina.
La Cina nel calcio italiano non è vicina e preoccupa molto l’allontanamento delle grandi famiglie dalle squadre italiane. Tutte pronte a scappare le famiglie storiche come i Della Valle, Preziosi , Pozzo, Campedelli. Sarebbero pronte a scappare anche le altre che si sono affacciate da poco, però non ci sono offerte da parte di cinesi, americani, russi e arabi.
Una volta piu gli errori che non gli onori ricadevano sulle famiglie che erano proprietarie. C’è curiosità se questo potrà accadere con le squadre che sono state acquisite dall’estero: a chi si rivolgeranno gli strali delle tifoserie in caso di risultati negativi e chi pagherà se lasceranno vortici di debiti? La risposta potrebbe non essere lontana: basterà seguire Milan e Inter dove non è ben digerita la mancanza di voglia di partecipare ai preliminari e di prendere parte male all’Europa League.